IL DUBBIO
Due ombre nella riforma del processo penale
di Giorgio Spangher
Fra qualche giorno la riforma Orlando della giustizia penale approderà nell’Aula del Senato. Sono molte le osservazioni – anche critiche – che si potrebbero sviluppare sulle scelte che si vorrebbero introdurre. Due però si impongono, in considerazione del fatto che sembrano manifestare profili di incostituzionalità.
La prima riguarda la reintroduzione del concordato in appello con rinuncia ai motivi. A parte il dettaglio dell’incomprensibile “anche”, che figura nella rubrica (forse desunto dal vecchio testo abrogato, dove peraltro era riferito al rito camerale), le riserve riguardano le ipotesi per le quali l’istituto non dovrebbe operare.
Invero, l’esclusione appare priva di fondamento giuridico, come è evidenziato dal fatto che il meccanismo oggi opera e domani potrebbe operare anche in mancanza di una previsione espressa.
Se l’esclusione per gravi reati può trovare fondamento in tema di colloqui del soggetto con il difensore, della prova in casi particolari, di intercettazioni telefoniche – ed è peraltro dubbio che le previsioni riferite siano costituzionalmente fondate – nel caso del concordato manca ogni base giuridica all’esclusione. La previsione, invero, non è premiale; nasce da un accordo tra difesa, accusa e giudice, libero e non vincolato, se non in riferimento alle emergenze processuali. Nel caso della reintroduzione, a ulteriore garanzia, sono previste linee guida della Procura generale concordate con i procuratori della Repubblica del distretto.
Si consideri, altresì, che non esistono limiti per il giudizio abbreviato dove la premialità consente l’abbattimento di un terzo della pena. Il riferimento al patteggiamento sarebbe errato in considerazione dei forti effetti premiali di quel rito del tutto assenti nel concordato in appello.
Il secondo profilo di ipotizzata incostituzionalità riguarda la disciplina della sospensione della prescrizione. Invero, lascia perplessi il mancato riferimento, accanto all’assoluzione, del proscioglimento. Se, invero, l’interruzione della prescrizione è legata alla intervenuta condanna e non consegue al proscioglimento ed all’assoluzione, non si capisce la ragione dell’omissione del proscioglimento a fianco all’assoluzione per far riprendere il decorso della prescrizione. Diversamente opinando, ci si troverebbe in presenza d’una palese irragionevolezza. È auspicabile pensare che un Parlamento attento voglia intervenire sui due profili segnalati.