IL SOLE 24 ORE
Il concordato preventivo merita una nuova fiducia
di Gerardo Longobardi – Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili
Gio.30 – Secondo alcuni il concordato preventivo è costoso. Sulla riuscita del concordato nell’ottica della soddisfazione dei creditori peserebbero le spese sostenute dopo il deposito del ricorso e necessarie per lo svolgimento della procedura oltre a quelle relative alla fase esecutiva. Non solo.
Secondo alcuni il concordato preventivo è istituto meno indicato per la ristrutturazione rispetto all’accordo di ristrutturazione (articolo 182 – bis della legge fallimentare) che, come ci informa la stampa dà buona prova di sè. Eppure i ragionamenti non convincono appieno.
Una recente ricerca condotta da Sda Bocconi sull’utilizzo degli accordi di ristrutturazione nei principali Tribunali mette in evidenza, come dagli anni 2008 – 2014, lo strumento non è mai decollato se confrontato con le domande di concordato preventivo anche prenotativo.
A fronte di 675 tentativi intrapresi dalle società o imprese fallibili di ristrutturarsi per tramite dell’accordo sono solo 266 quelli effettivamente depositati tra i quali rientrano anche 51 proposte di accordo . In definitiva dei 215 accordi di ristrutturazione depositati sono stati omologati 193 accordi: il 90 per cento.
La ricerca mette in luce, però, che più della metà delle società interessate (operanti nel terziario e manifatturiero di medie dimensioni, con esposizione debitoria di 11 miliardi di Euro e con fatturato, in media, pari a 6 miliardi di Euro nell’anno di ristrutturazione) hanno intrapreso nuovi interventi per fronteggiare la crisi riconducibili essenzialmente a operazioni straordinarie (fusioni)o a liquidazioni, ma anche al fallimento. Nuove misure che originano per lo più dall’insufficiente incisività degli interventi industriali e finanziari proposti; il che considerata la struttura di governance delle società monitorate lascia alcuni dubbi sull’effettiva fruibilità dell’istituto per tutte le imprese. La ricerca chiarisce che di 187 società che hanno depositato un accordo di ristrutturazione, 98 fanno parte di 26 gruppi ancorché connotati nei casi più frequenti da una partecipazione familiare di controllo. Si tratta dunque di uno strumento riservato alle imprese più organizzate e votate all’investimento.
I dati sull’impiego dell’accordo ex articolo 182 bis non sono incoraggianti e non coincidono con quelli appena diffusi che vedono negli accordi di ristrutturazione una valida alternativa al concordato preventivo. Altro passaggio di dubbia significatività quello in cui si afferma che il concordato preventivo non sembra utile nella fase di emersione tempestiva della crisi.
Il concordato preventivo così come ideato dal legislatore della riforma non ha tale vocazione; il nuovo concordato preventivo (e vieppiù oggi quello con continuità) nasce dall’esigenza di superare la contrapposizione tra interessi dei creditori e tutela degli organismi produttivi, per realizzare la ristrutturazione e la conservare i valori aziendali sotto l’egida dell’autorità giudiziaria, senza trascurare i creditori.
È evidente che nonostante le modifiche apportate al concordato nel 2012, anche la domanda prenotativa non pare assolvere alla funzione di emersione tempestiva della crisi; sembra essere destinata a consentire all’imprenditore di meditare e individuare con maggiore ponderazione lo strumento appropriato di composizione della crisi.
Va dunque rinnovata la fiducia al concordato preventivo e al ruolo svolto dai professionisti impegnati nella ristrutturazione, advisor o attestatori. L’incidenza delle spese sostenute per le procedure rispetto all’incidenza sul totale delle disponibilità liquide (che secondo i dati sarebbe pari al 58, 1%) è fuorviante, in quanto, come noto al momento della domanda la liquidità è scarsa.
Il dato delle spese assume qualche valenza solo se paragonato all’attivo o al passivo e allora si attesta sul 1,9 % (sul totale delle passività) ovvero sul 2,2 % (sul totale delle attività). Resta inteso che i professionisti dovranno agire con correttezza e buona fede al momento della determinazione dei compensi.