L’INTERVENTO/2: Intercettazioni, la legge esiste già di Piergiorgio Morosini (Il Fatto Quotidiano)

IL FATTO QUOTIDIANO

Intercettazioni, la legge esiste già

di Piergiorgio Morosini

Dialoghi intercettati su retroscena parlamentari. Una lobby del petrolio, nel mirino della Procura di Potenza. Stralci di brogliacci e file audio sui giornali e in tv. Effetti collaterali. Si dimette un ministro, a quanto pare, neppure indagato. Seguono reazioni. C`è chi si sofferma sul malaffare che tocca gangli vitali del nostro paese. E chi, invece, da prestigiose istituzioni punta l`indice su magistrati e stampa per il gossip. In men che non si dica, dagli intrecci perversi tra politica e imprenditoria l`attenzione si polarizza sulle intercettazioni. Con effetti sull`agenda politica.
COME DIFENDERE la privacy senza “bavaglio” per la stampa? Come garantire indagato, non indagato e indagini? Nessuno possiede ricette miracolistiche. C`è un disegno di legge già votato alla Camera e ora in discussione al Senato (n. 2067). Mira a contenere la pubblicazione di intercettazioni gratuitamente lesive della dignità delle persone. Buone le intenzioni. Ma, allo stato, la delega al governo è generica. Lascia margini troppo ampi ai decreti. Potrebbero tradursi in misure intimidatorie per la stampa e che “addomesticano” le toghe nella esposizione delle intercettazioni.
Per i procuratori di Roma, Napoli, Firenze e Torino, l`attuale codice già protegge il nocciolo duro della privacy. Con apposite circolari, si responsabilizzano magistrati e polizia giudiziaria senza discostarsi dalla legge. Si promuovono modelli operativi di “filtro a monte” per ridurre il rischio che colloqui non pubblicabili finiscano sui giornali e in tv. Come? Non trascrivendo e distruggendo con procedure rapide alcune registrazioni. Quelle non utilizzabili nel processo (es. tra difensore e suo assistito), contenenti dati sensibili (salute, sesso, opinioni politiche e religiose), o irrilevanti ai fini della prova. Ma che cosa è “rilevante”? È questo il punto davvero problematico. Un dato oggi “neutro”, apparenza riferibile a fatti personali, con lo sviluppo dell`indagine può chiarire il “contesto” in cui si inserisce un illecito. Si pensi ai reati dove contano le “reti di relazioni” con i potenti di turno: traffico di influenze, corruzione, associazione criminale. Alcune circolari affidano alla “polizia in ascolto” un compito delicato.
La direttiva è di non trascrivere e neppure di annotare le registrazioni
percepite come irrilevanti. È concreto il rischio di una dispersione di dati che successivamente si rivelino utili per accusa o difesa. Occorre, quindi, una
costante e leale interlocuzione con la procura per evitarlo. Altrimenti,
il “motore” delle indagini finirebbe col tempo per spostarsi dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria, contrariamente al codice e alla Costituzione. E potrebbe cambiare la fisionomia del controllo penale, riportandoci
a modelli da codice Rocco. Anche i giudici devono condividere l`idea di fondo delle circolari delle procure. Nel redigere ordinanze e sentenze, pubblicabili dalla stampa, possono inserire colloqui per esteso, solo se rilevanti e nel rispetto dei dati sensibili. Travalicare questi limiti sovraespone la magistratura. Cosa da evitare, in una epoca in cui i partiti, a “denti stretti”, già le hanno “delegato” la selezione dei “politici degni”. Non a caso le black list dell`antimafia nelle amministrative o i dispositivi della legge Severino si fondano su atti giudiziari.
Ai MAGISTRATI, quindi, si chiede senso di responsabilità. Con una criminalità che invade economia e amministrazioni, occorre prevenire forme anche involontarie di “invasione di campo” che aprono la strada a chi vuole azzerare le intercettazioni.
E la stampa? In questi anni ha svelato gli scandali del potere e reso tanti cittadini più consapevoli. Chi, oggi, propone il carcere per i giornalisti che diffondono testi di atti giudiziari persegue forme di inaccettabile censura.
Piuttosto sarebbero utili regole certe sui modi e i tempi dell`accesso della stampa agli atti non più secretati. Si eviterebbero anche “scambi sottobanco” di documenti, dietro i quali possono celarsi interessi poco commendevoli.
Il resto sta nella deontologia che impone l`essenzialità dell`informazione.
Senza mai dimenticare che l`inviolabilità delle comunicazioni private può essere sacrificata solo per ragioni processuali.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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