IL SOLE 24 ORE
La riforma serve al mercato, freno dalla centralizzazione
di Michele Corradino – Consigliere Anac
È possibile che le riforme blocchino l’economia del Paese? O piuttosto blocca l’economia chi non vuole le riforme? Il 19 aprile è entrato in vigore il codice degli appalti che ha profondamente cambiato le gare e, da quel giorno, gli appalti si sono fermati. I dati dell’Anac sono drammatici:meno 62% negli ultimi due mesi rispetto al 2015.
Le cause di questa brusca frenata sono state da qualcuno individuate nelle grandi novità del codice e soprattutto nel divieto di “appalto integrato”. Il nuovo codice obbliga infatti le p.a. a mettere a gara progetti “esecutivi”, cioè dettagliati e precisi. Fino i progetti a gara presentavano un’idea più o meno precisa dell’opera, chiamando l’impresa vincitrice a concretizzarla e a decidere come realizzarla. La Pa aveva il vantaggio di non affrontare la progettazione ma, per capire, è un po’ come se chi decide di ristrutturare casa lascia decidere agli operai come tagliare le stanze. Gli effetti si sono visti: varianti in quasi tutte le opere pubbliche, costose e, come dimostra un recente studio dell’Anac, in nove casi su dieci, esattamente ed incredibilmente identiche al ribasso d’asta offerto anni prima dall’impresa per aggiudicarsi la gara.
Il nuovo codice chiama chi amministra alla responsabilità e al dovere nei confronti dei cittadini di decidere con chiarezza come va speso il denaro pubblico e quindi, in questo caso,come va realizzata l’opera. Si dice però che le Pa non erano pronte e per questo si sono fermate. Ma siamo sicuri che sia solo questa la ragione? I dati statistici diffusi da Anac fanno pensare di no. L’obbligo del progetto esecutivo riguarda appalti superiori a un milione di euro, eppure si sono fermati anche quelli di valore inferiore.E le grandi novità del codice, come l’obbligo di qualificazione delle stazioni appaltanti o il sorteggio dei commissari, non sono in vigore né lo saranno nei prossimi mesi. La normativa transitoria fa salvo il vecchio regolamento fino all’emanazione delle nuove linee guida. Ma soprattutto i dati mostrano che la flessione degli appalti viene da lontano. È cominciata a novembre 2015.Nel primo semestre del 2016 il valore degli appalti di lavori è diminuito del 33% rispetto all’anno precedente, dopo un’ulteriore flessione del 19 % negli ultimi due mesi del 2015. Sarà un caso ma nel mese di novembre 2015 è in vigore la norma che vieta agli enti di acquistare in via autonoma e li obbliga ad aggregarsi in modo, tra l’altro, da spuntare prezzi più bassi. Non appena gli enti non hanno potuto più acquistare da soli, hanno smesso di spendere. Le impellenti esigenze che li spingevano fino al mese precedente a bandire vengono meno inspiegabilmente. Piuttosto che delegare l’acquisto le Pa preferiscono non acquistare. E ora piuttosto che applicare il nuovo codice preferiscono non bandire.
Nasce il sospetto, in un caso come nell’altro, che ci sia una resistenza al cambiamento che può derivare anche dalla voglia di mantenere privilegi e posizioni di potere acquisite negli anni. C’è, certo, una naturale tendenza di una parte della burocrazia a rifiutare il nuovo perché propensa a riproporre modelli tradizionali. I funzionari hanno comprensibilmente paura di sbagliare e così il sistema del precedente, che riduce i rischi penali o contabili, resiste tenacemente.
Questa tendenza, in un certo senso fisiologica, rischia però di saldarsi anche inconsapevolmente con le lobby, fortunatamente sempre più isolate, che non vogliono il cambiamento perché il vecchio sistema garantiva varianti inutili e lucrose, commissari compiacenti, gare al massimo ribasso vinte con offerte ridicole nella certezza di recuperare in seguito la differenza. Il codice individua una nuova filosofia che fa degli appalti un pezzo della strategia di politica economica del Paese. Impone qualità alle Pa obbligandole a dimostrare la qualificazione del personale e l’adeguatezza della struttura organizzativa. Differentemente dal passato, alla Pa viene data grande fiducia ampliando notevolmente gli spazi della sua discrezionalità e prevedendo che possa dialogare con il mercato in un quadro di trasparenza e concorrenza. E un grande impegno è chiesto anche all’impresa, valutata oggi attraverso il “rating”, un punteggio basato sulla capacità di eseguire le opere bene e nei tempi previsti. Il nuovo codice vuole proiettare il Paese nel futuro e nel sistema di regole che governa i competitors internazionali. Possono e devono studiarsi misure transitorie per far fronte all’emergenza ma la responsabilità delle Istituzioni, dell’Università e delle Associazioni, come in ogni fase di cambiamento, è dare fiducia alle Pa e alle imprese. Far prevalere la paura e il mantenimento del vecchio, è estremamente pericoloso. Frenare strumentalmente lo sviluppo in tempo di crisi è criminale.