IL SOLE 24 ORE
Il profilo giuridico. Strumenti poco efficaci
Privacy e dignità al tempo della Rete
di Carlo Melzi D’Eril e Giulio Enea Vigevani
Ha scosso molti il suicidio della ragazza protagonista di un filmato a sfondo sessuale, che avrebbe dovuto restare privato, e che invece è stato diffuso con tale ampiezza in rete da renderla nota proprio per questo video. Ciò induce a interrogarsi su quali siano gli strumenti di difesa previsti dall’ordinamento per chi è vittima di condotte simili.
La pubblicazione senza consenso di immagini del genere, destinate a rimanere nell’intimità dei protagonisti, comporta la commissione del delitto di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità, nonché quello di illecito trattamento di dati personali.
In entrambi i casi si tratta di reati di media gravità: il primo punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa e il secondo con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.
Per giungere a una eventuale condanna e a un risarcimento, però, la persona offesa deve attendere che siano svolte le indagini e celebrato un processo, e per questo occorrono anni. È tuttavia senza dubbio possibile, e in tempi brevissimi, ottenere il sequestro preventivo dell’immagine o del video.
Se non si vuole seguire la via del diritto penale, ma si cerca “soltanto” di eliminare il materiale dal web, ci si può rivolgere al giudice civile o al Garante della privacy. Sia il primo sia il secondo possono emettere provvedimenti che impongano la cancellazione del contenuto da un qualunque sito Internet.
Questi, in termini estremamente sintetici, sono gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per consentire alla persona di rientrare nel pieno controllo dei propri dati personali, “intoccabili” senza consenso o interesse pubblico.
In astratto potrebbe sembrare un armamentario sufficiente e ben attrezzato; in verità bisogna ammettere che non sempre l’interessato riesce a difendersi adeguatamente.
E ciò, ci pare, per l’esistenza di almeno due problemi.
Il primo è giuridico e riguarda l’efficacia dello strumento utilizzato: una volta ottenuto il sequestro o il blocco del filmato, non è sempre semplice oscurare in rete tutte le pagine in cui esso può comparire. Tenuto conto di quanto sia agevole oggi, per chiunque, pubblicare on-line, è intuibile come l’esercizio del proprio diritto rischi di risolversi in un vano inseguimento. Tanto che probabilmente tali contenuti sono sfuggiti al controllo anche di chi li ha diffusi sul web per primo. In più, qualora si riesca a ottenere un provvedimento d’urgenza, la sua esecuzione può essere facile solo se il sito sorgente collabora. Se viceversa non lo fa, e magari è situato all’estero, diventa tutto più difficile.
Il secondo problema è più di natura sociale e discende forse dalla scarsa consapevolezza di quanto gravi possano essere gli effetti di simili comportamenti. Pubblicare senza consenso il video di una persona mentre compie un atto sessuale, rendendola riconoscibile, rischia di incidere profondamente sulla sua dignità. Un simile atto può condurre alla spoliazione non solo del corpo ma anche dell’essenza dell’individuo che, trattato al pari di una “cosa”, viene trascinato nella piazza elettronica per essere esposto al pubblico ludibrio.
L’azione di immettere tali contenuti in rete ci pare implicare un disprezzo, solitamente delle donne, che sembra quasi aizzare gli utenti non solo a guardare il video, ma anche a insultare la vittima. E forse è questo domino di conseguenze che determina, in ultima analisi, il sentimento di perdita della dignità che nei casi più drammatici può indurre a gesti tragici. Carlo Melzi D’Eril Giulio Enea Vigevani