L’INTERVENTO/2: Riforma della giustizia: serve più coraggio di Luigi Iorio (L’Opinione)

L’OPINIONE

Riforma della giustizia: serve più coraggio

di Luigi Iorio

ven.14 – Ennesima fumata nera per l’approvazione della riforma della giustizia (disegno di legge 2067 sul processo penale). Tanti i dubbi e i veti incrociati. Il nodo principale della questione resta l’allungamento dei tempi di prescrizione. Un provvedimento reputato dannoso dalle Camere Penali e da una parte della maggioranza parlamentare. Addirittura poco incisivo, quasi inutile dall’Associazione nazionale magistrati.
Inizialmente sulla nuova riforma c’era piena condivisione tra il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Improvvisamente, il colpo di scena. Il Premier decide di non voler porre un voto di fiducia contro l’Anm. Dopo tali dichiarazioni, il partito dei Pm ha ovviamente esultato. A decretare la presunta vittoria, secondo il quotidiano “Il Dubbio”, ci sarebbe una mailing list nella quale girerebbe un documento inviato a tutti i Pm da uno dei magistrati più vicino a Davigo. L’oggetto sarebbe il merito della gestione interventista di Piercamillo Davigo. Questa situazione ha ovviamente allertato l’Unione delle Camere Penali Italiane (Ucpi), che ha parlato di una alleanza Renzi-Davigo. I penalisti hanno palesato nel dettaglio una mancanza di coraggio del Governo, ribadendo che è compito della politica legiferare, non della magistratura. Insomma, una situazione di stallo che quasi certamente porterà l’ennesima riforma della giustizia su un binario morto.
In questa partita infatti non ci sono né vincitori né vinti. La guerriglia minacciata dall’Anm ha semplicemente mostrato la volontà di una parte della magistratura di voler a tutti i costi incidere sulla vita politica del Paese. Gli strumenti usati per alimentare la protesta sono stati diversi, dalla richiesta di un miglioramento del sistema giustizia, alla necessità di una giustizia veloce ed efficiente, alla denuncia di una mancanza di organico e scarso personale amministrativo. Tutte problematiche alle quali in queste ore il ministro della Giustizia Orlando sta provando a dare risposte. Basta pensare al nuovo concorso in magistratura o all’assunzione di mille nuovi cancellieri. In realtà il fine è quello di aprire un contenzioso con il Governo che ha alla radice questioni diverse come la responsabilità civile, la riduzione dell’età pensionabile e i termini feriali. Dunque, avvocati inferociti e giudici in festa. Questo si potrebbe evincere. Ma la storia del mancato voto di fiducia va analizzato in modo diverso. Non è una subalternità nei confronti della Anm. Può anche essere una strategia politica, un modo per evitare conte in Senato impedendo così di sgretolare l’attuale maggioranza e inasprire il dibattito politico in attesa del referendum del 4 dicembre.
L’errore però è a monte. La politica non può cedere al populismo giuridico, né tantomeno alla pressione della Anm che, sul tema della prescrizione, ha sempre fatto proposte draconiane. Sin dall’inizio era evidente che una parte della maggioranza sarebbe andata in fibrillazione su un tema così divisivo, come quello della prescrizione. Certo corruzione e malaffare continuano a proliferare, ma questo non può condizionare le scelte della politica. Occorrerebbe semplicemente ridurre drasticamente la durata dei processi. Va ribadito infatti come il settanta per cento dei processi penali si prescrivano nel corso delle indagini preliminari. Non certamente dunque dall’apertura del dibattimento in poi. Aumentare i tempi significherebbe decretare di fatto la sconfitta dello Stato. La prescrizione non è infatti una mera invenzione della nostra democrazia, al contrario ha una sua ratio ben precisa. È un istituto previsto già dall’antica Grecia e nella Roma repubblicana. Un modello di giustizia nato per tutelare l’interesse oggettivo della società, non per soddisfare i desideri individuali di giustizialismo. Occorre allora adottare misure precise, imporre l’inizio del processo in tempi rapidi dal rinvio a giudizio, accorciare i tempi tra la sentenza di primo grado e il processo d’appello entro un massimo di sei mesi dal deposito dell’impugnativa. Piccoli e banali accorgimenti che aumenterebbero l’efficienza e accorcerebbero i tempi del processo.
E allora sono due le coordinate sulle quali lavorare. La prima è quella di organizzare meglio la giustizia in Italia aumentando il numero dei magistrati e organizzando meglio gli uffici. Su questo la Anm ha ragione. La seconda è quella di depotenziare la corruzione alla radice. Con meno burocrazia e più pragmatismo. Intanto il rischio è che tra una querelle referendaria e una bagarre interna al Partito Democratico, una buona riforma possa essere rimessa nel cassetto.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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