IL MATTINO
Se l`Appello è senza fine
di Andrea R. Castaldo
La Corte di Assise di Appello di Taranto ha finalmente depositato le motivazioni della sentenza riguardante l` omicidio di Sarah Scazzi.
Il dispositivo di condanna risaliva al 24 luglio 2015, oltre un anno fa, e confermava la condanna all`ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima
Serrano, rispettivamente cugina e zia della vittima, ritenute colpevoli di sequestro di persona e omicidio volontario. La vicenda è nota e ricca di colpi di scena: Michele Misseri, zio di Serali, si era accusato dell`omicidio, con
confessione quasi in diretta tv, successivamente ritrattando e poi riconfermando la prima versione.
La sua ricostruzione altalenante, ritenuta inattendibile, gli è valsa così la condanna a otto anni di reclusione per soppressione di cadavere, nonché un ulteriore procedimento per autocalunnia, attualmente in udienza preliminare.
Aldilà del fatto, della consueta sovraesposizione mediatica, dei condizionamenti (si spera limitati) sul libero convincimento soprattutto dei giudici non togati della Corte d`Assise, resta la scansione cronologica processuale, tutt`altro che esaltante. Non si fa riferimento al tempo passato dall`omicidio (circa sei anni), anzi giustificabile e persino breve, considerando complessità del caso, indagini, accertamenti tecnici, come testimoniano le quasi 3000 pagine delle due sentenze di merito.
Bensì al deposito della motivazione a distanza di un anno.
Un ritardo censurabile sotto diversi profili.
In primo luogo, poiché l`attesa congela staticamente il processo, impedendo alla difesa la proposizione del ricorso e quindi il possibile ribaltamento della condanna. Inoltre, la sperequazione evidente tra la facoltà (l`arbitrio?)
del magistrato di violare il limite massimo imposto dal codice o da lui stesso assegnato e, al contrario, la necessità dell`imputato, pena l`inammissibilità, di non sforare il termine inderogabile di 45 giorni. Il che comprime gli spazi della difesa, specie quando debba confrontarsi con un provvedimento corposo in fatto e in diritto. Ma soprattutto, poiché nel frattempo l`imputato, innocente fino a decisione irrevocabile, si trova in carcere e ha pertanto l`evidente interesse di accelerare l`ulteriore fase di giudizio. E infatti i difensori di Sabrina Misseri hanno sollecitato con esito positivo il Guardasigilli a disporre un`ispezione ministeriale, tendente ad accertare disfunzioni o inadempimenti quali cause del ritardo. Sul banco degli imputati finisce, così, ancora una volta, il triste primato negativo della lentezza della giustizia e dell`irragionevole durata del processo. Inutile richiamare il cahier de doléance; da monito valgono le parole del Primo Presidente della Corte di Cassazione Canzio, che ha ricordato come gli oltre 50.000 ricorsi all`armo presentati in Cassazione nel settore penale siano insostenibili e rendano evidente la drammatica urgenza di una riforma, incanalata in un disegno di legge che annaspa tra le sabbie mobili delle Commissioni parlamentari. Ma tinte più fosche colorano il secondo grado di merito, l`appello. Qui, eccezion fatta per uffici giudiziari virtuosi, si registrano incredibili tempi morti, che allungano a dismisura la conclusione del processo. A detrimento delle vittime dei reati e, alcune volte, a beneficio dell`imputato colpevole, il quale vede allontanarsi lo spettro dell`inflizione della pena, stante la prescrizione del reato. In questa spirale perversa, dove tutto si avvita per restare immobile, una panacea ai mali non esiste, ma è indubbio che fino a quando non passerà il messaggio di una politica criminale seria, che non raccatti gli umori del momento ma ragioni con orizzonti ampi, dove le pene si minacciano e al contempo si applicano, l`imputato avrà buon gioco a percorrere tutti i gradi di impugnazione. Ogni attore del complicato circuito giudiziario deve allora fare la sua parte e assumersi le proprie responsabilità; alla magistratura tocca il non facile compito della migliore gestione dei carichi di lavoro e dell`organizzazione del personale e il rispetto di termini e scadenze dettate dal codice, anche quando esso non comporti sanzioni processuali. Qui si annida il vero problema di fondo: una cultura della responsabilità quale forma mentis prima ancora dell`osservanza del dato testuale.