L’INTERVENTO/3: Intercettazioni, cosa cambiare di Caterina Malavenda (Il Corriere della Sera)

IL CORRIERE DELLA SERA

Intercettazioni, cosa cambiare
di Caterina Malavenda

Caro direttore, davvero grande è la confusione sotto il cielo. Pier Camillo Davigo, nuovo presidente dell`Anm, sabato appena eletto ha dichiarato
che le norme sulle intercettazioni ci sono già e lo ha fatto perché il giorno prima, dopo la pubblicazione di quelle di Potenza, da più parti si era
tornati a parlare della loro riforma. Diversi giornali domenica, perciò, hanno addirittura aperto sul tema e, a conferma della bontà della tesi di Davigo,
hanno ricordato quelle circolari, assai apprezzate dal governo, che i vertici di alcune importanti Procure hanno indirizzato ai propri sostituti, per meglio disciplinare l`uso e il deposito delle conversazioni intercettate, con inevitabili
riflessi sulla loro successiva divulgazione.
Quelle circolari hanno, infatti, quale unico punto di riferimento, com`è ovvio che sia, le norme vigenti e indicano le modalità per la loro miglior
applicazione, non essendo consentito ai magistrati discostarsi da quel che il
codice di rito già prevede, né scrivere nuove regole di comportamento.
Se le circolari vanno nella giusta direzione, come si sostiene, allora vuol dire che l`impianto normativo funziona, il che spiega la sorpresa e i
timori del procuratore di Torino Armando Spataro per i troppi consensi che la sua ha ricevuto.
Né l`urgenza di intervenire può trarre linfa dalla divulgazione delle intercettazioni di Potenza, nessuna delle quali risulta irrilevante per le indagini o riguarda soggetti a esse estranei – questi i limiti alla loro pubblicazione, individuati dalla delega – avendo piuttosto rivelato profili di estremo rilievo sui criteri di gestione della cosa pubblica.
La delega al governo sul tema, che attende di essere approvata, intanto, è stata definita dallo stesso relatore in Commissione giustizia al Senato
Felice Casson troppo generica, al punto da rasentare l`illegittimità costituzionale, il che lascia ampi margini di manovra a chi dovrà esercitarla.
Questo lo stato dell`arte fino a quando, domenica sera, il presidente del Consiglio ha detto che il governo non ha intenzione di mettere mano
alla riforma delle intercettazioni – anche se il coro non appare unanime – confidando sul buon senso e la responsabilità dei giudici, molti dei quali, ha aggiunto, non passano informazioni su vicende familiari e pettegolezzi.
È proprio questo il punctum dolens.
Il premier, come chiunque affronti il tema della pubblicazione degli atti e non solo delle intercettazioni, infatti, parte dal presupposto – ahimé corretto! – che le carte vengano «passate» dai magistrati, dai giudici o dagli avvocati
ai giornalisti, che non possono chiederne copia agli uffici e debbono accontentarsi di quel che trovano.
E questo, mentre si pretende giustamente da loro professionalità e rispetto delle regole, non è più accettabile. Ferruccio de Bortoli, qualche giorno fa, ha commentato sul Corriere il cosiddetto decreto Madia, che rimodula
le formalità con cui il cittadino può prendere visione degli atti amministrativi e, pur segnalando l`opportunità di qualche intervento, ha sottolineato l`importanza di norme che incentivano la trasparenza amministrativa e il controllo diffuso.
Quella legge, però, non si occupa dell`accesso agli atti processuali, regolato oggi solo dall`articolo 1i6 Codice di procedura penale, che si limita a riconoscere a «chiunque vi abbia interesse» la mera facoltà di avere copia degli atti di un procedimento penale, rilascio subordinato al consenso
del magistrato o del giudice competente.
Ecco, sulla scia dei principi che hanno ispirato quel decreto e nell`ambito della riforma del codice di procedura penale, per dimostrare che davvero, al di là degli eventuali abusi già sanzionabili, la buona informazione è cara al
governo, varrebbe la pena di approntare le modifiche necessarie per stabilire i modi e i tempi, con i quali i giornalisti, titolari non di un mero interesse,
ma del diritto di informare, possano prendere visione e avere copia, pagando il dovuto, di quegli stessi atti che, noti all`indagato, non sono più riservati.
Chissà che non sia proprio questa la soluzione giusta per bandire i pettegolezzi – come auspica il premier – anche con la collaborazione fattiva
dei magistrati, responsabilizzare i giornalisti, se necessario, e rendere anche e
soprattutto un buon servigio all`opinione pubblica.

Foto del profilo di Andrea Gentile

andrea-gentile