IL SOLE 24 ORE
Non è irragionevole un falso in bilancio senza valutazioni
di Filippo Sgubbi – Docente di Diritto penale dell’economia-Luiss, Roma
I nuovi articoli 2621 e seguenti del Codice civile puniscono coloro che nei bilanci (o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge) espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero; non figura più l’espressione «ancorché oggetto di valutazioni» che caratterizzava il testo previgente.
Nella giurisprudenza della Cassazione è insorto un contrasto interpretativo in ordine alla questione se la condotta di falso valutativo sia ancora oggi punita, oppure se la riforma ne abbia determinato l’abrogazione.
Due sentenze (Cassazione 33774/2015 e Cassazione 6916/2016), prendendo atto della eliminazione dal testo normativo del preesistente riferimento alle valutazioni, hanno escluso, pur con accenti diversi, la rilevanza penale delle valutazioni stesse. Per contro, una terza sentenza (Cassazione 890/2016) è giunta alla conseguenza opposta: ha ritenuto che la rimozione della locuzione ancorché oggetto di valutazioni non abbia rilevanza e ha adottato una interpretazione basata sulla voluntas legis e sullo scopo della norma (cioè, il rafforzamento della repressione penale). Soluzione confortata anche dalla Relazione 15 ottobre 2015 dell’Ufficio del Massimario della stessa Corte.
Decisioni così divergenti disorientano: determinano diseguaglianze, inducono a ritenere che i giudizi penali possano essere affidati al caso e appaiono vulnerare la funzione che è propria della Corte di Cassazione, cioè «assicurare l’uniforme applicazione della legge». Il tutto aggravato dal fatto che si tratta di decisioni di ultima istanza, a fronte delle quali non vi sono rimedi, perlomeno di giurisdizione interna.
Inoltre, la disputa di cui si parla trova sì nella singola norma sul falso in bilancio l’occasione per manifestarsi, ma svela un conflitto molto più ampio e profondo, di stampo istituzionale: fra la fedeltà del Giudice al testo di legge e la concezione della giurisprudenza come investita di compiti di supplenza rispetto alla produzione normativa di un legislatore improvvido (e “di turno” come viene definito dalla sentenza 890/2016).
È imminente la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte, alle quali è rimessa la questione con l’ordinanza 9186/2016. In attesa, non credo sia inutile cercare di sottoporre le nuove norme ad un’analisi tecnica e serena.
Emergono, così, da un lato, profili di ragionevolezza intrinseca. Infatti, nelle nuove norme sono state eliminate le soglie di punibilità, al di sotto delle quali la condotta di falso non era punibile, in quanto non “tipica”. È stata eliminata anche la procedibilità a querela, nell’ipotesi di falso produttivo di danno patrimoniale. Oggi, questi fattori di selezione della punibilità sono stati sostituiti da clausole affidate al Giudice che, all’esito del processo, ne valuterà la concreta sussistenza: come l’idoneità concreta del falso ad ingannare i destinatari della comunicazione sociale e la non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex articolo 2621 ter Codice civile. Così, la selezione dei fatti puniti non è più formulata in astratto, precludendo – di regola a priori – l’intervento del Magistrato penale, ma è affidata al giudizio concreto ex post, compiuto dal Giudice, di cui si viene esaltata la discrezionalità.
E allora, può ben essere ragionevole escludere le valutazioni dall’ambito penale, al fine di delimitare da un’altra angolazione la discrezionalità del giudicante, assicurando una maggiore certezza circa il confine fra lecito ed illecito. Anche il consistente aumento (lontano dai parametri europei) delle pene edittali, implica necessariamente che le norme penali siano formulate sulla base di elementi costitutivi che siano accertabili con facilità e univocità dal Giudice; con un rafforzamento della tassatività. Più alta è la pena detentiva, più alta deve essere la certezza del precetto, considerato anche che per il falso in bilancio sono previste varie ed incisive sanzioni aggiuntive di natura patrimoniale (confisca e pene pecuniarie) sia per la società sia per le persone fisiche. Occorre perciò evitare che nel processo penale siano trascinati quei temi che sono peculiari dell’accertamento giudiziale delle valutazioni, temi sempre opinabili, incerti e coinvolgenti richiami a mutevoli regole private e a complesse prassi nazionali e internazionali. L’aumento delle pene legittima anche una concezione – certo non anacronistica – del diritto penale come extrema ratio, affidando ad altri strumenti giuridici (come quelli civilistici) il controllo sulla correttezza dei bilanci e l’applicazione delle relative sanzioni.
Emergono anche, dall’altro lato, profili di razionalità rispetto al complessivo sistema del diritto penale dell’economia. Infatti, le nuove norme nascono nell’ambito di una legge volta al contrasto della corruzione e della criminalità organizzata e quindi dell’economia sommersa e illecita: ora, la formazione di provviste cosidette riservate (vulgo: nere), prodromiche alla corruzione, avviene solitamente con meccanismi che hanno a che vedere non tanto con le valutazioni delle poste di bilancio, quanto piuttosto con l’esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, quali – ad esempio – l’emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Punendo il falso valutativo si rischia di colpire penalmente le società che svolgono una regolare e fisiologica attività economica, più che la patologia del sistema economico.
In questo quadro, non è affatto incoerente il testo dell’articolo 2638 Codice civile che punisce l’«Ostacolo alle funzioni delle Autorità di vigilanza». È vero che tale norma menziona i fatti materiali «ancorché oggetto di valutazioni», ma si tratta di una disposizione che ha struttura e dimensioni di tutela molto diversi. Protegge le funzioni delle Autorità di vigilanza, le quali esigono dai vigilati innanzi tutto lealtà e rispetto delle regole amministrative dettate dalle stesse Autorità e poi richiedono un ben più ampio ventaglio di informazioni rispetto alle esigenze proprie dei destinatari del bilancio. Tant’è vero che i possibili autori del reato sono, in genere, coloro che sono tenuti ad obblighi nei confronti delle Autorità (fra cui le persone fisiche); inoltre, la falsità può essere contenuta in un ampio novero di comunicazioni, previste o imposte non solo dalla legge ma anche dalla normativa regolamentare di vigilanza adottata “in base” alla legge.
Infine, l’esclusione delle valutazioni dall’ambito della punibilità, con il correlato recupero di certezza penale, si presenta coerente – a livello di sistema – con altri rami del diritto penale dell’economia. Si pensi alle recenti riforme che hanno statuito la non punibilità della fumosa figura dell’abuso del diritto (decreto legislativo 128/2015) e l’abbandono, a proposito degli elementi passivi indicati nelle dichiarazioni fiscali, dell’incerto aggettivo fittizi (comprensivo anche dei costi sì esistenti storicamente, ma fiscalmente non deducibili), sostituendolo con la ben più precisa nozione di inesistenti (quindi non sussistenti nella realtà storica) di cui al decreto legislativo 158/2015. Segno della volontà, certamente consapevole, del legislatore di depurare le fattispecie del diritto penale dell’economia da elementi normativi e valutativi, ancorandole invece a dati solidi e materiali, dotati di un sicuro sostrato naturalistico e oggettivamente verificabili dal Giudice.