IL MESSAGGERO
Se chi applica la legge perde il senso dello Stato
di Oscar Giannino
Nella storia, dello Stato si sono date tante definizioni. Nel secondo dopoguerra, l`avvento anche in Europa della democrazia ci ha fatto lasciare
alle spalle enunciati estremi come Der Staat ist Macht, lo Stato è potenza, che piaceva all`hegelismo tedesco e produsse i totalitarismi. Ai tempi nostri, lo Stato dovrebbe essere di conseguenza innanzitutto certezza del diritto. Ma nella nostra Italia per moltissimi versi non è affatto così. E ciò spiega una bella fetta del distacco che gli italiani esprimono verso le istituzioni. Non si deve solo alla concezione che politica e partiti hanno dello Stato, come
di uno strumento spesso al proprio discrezionale servizio. Ormai la crisi dello Stato investe anche quelli che dovrebbero essere i pilastri di garanzia dell`autonomia dello Stato dalla politica, per fondarsi solo sulle
leggi: cioè i prefetti e i magistrati.
E esattamente ciò che viene riproposto da alcune delicatissime vicende in corso. Cominciamo da Roma. Nel nostro ordinamento, spetta al prefetto ordinare la precetta zione – cioè l`obbligo alla prestazione e all`offerta di un servizio – nei confronti di astensioni lavorative che avvengano in violazione delle norme vigenti, a tutela dei diritto dei cittadini.
È una materia di cui già molte volte ci siamo occupati, sottolineando la necessità di nuove norme rispetto ai codici di autoregolazione per categoria e
azienda oggi vigenti. Il premier Renzi e il ministro dei Trasporti
Delrio più volte hanno promesso interventi in tal senso.
Che non si sono visti. Sta di fatto che Roma vive da più settimane l`enorme disagio di servizi di trasporto annullati e ritardati a raffica e senza preavviso, dovuti allo sciopero bianco del personale Atac che rifiuta i badge adottati dall`azienda per il controllo dell`orario di lavoro effettivamente prestato. La
protesta avviene in totale spregio delle norme previste a tutela dei passeggeri. Si è giunti a contingentare i passeggeri per stazione, per evitare proteste di massa. Ma quando si contingentano i passeggeri che pagano e non si interviene su chi viola la legge, lo Stato innalza bandiera bianca sulle sue stesse leggi.
L`Autorità garante dei Trasporti ha chiesto giustamente al prefetto di Roma di non tergiversare oltre, e di precettare visto che lunedì è annunciato un nuovo sciopero. Ma ecco che scatta la malattia pubblica italiana numero uno:
la discrezionalità al posto della certezza della norma. La tensione aperta tra sindaco di Roma, presidenza del Consiglio e Pd, avanza appelli riservati al prefetto perché si astenga, e convinca piuttosto i sindacati con le buone. Ieri, il primo incontro è andato puntualmente a vuoto. E poi, come si fa a precettare i dipendenti dell`Atac, quando venerdì il suo cda dovrà adottare un
bilancio consuntivo 2016 con perdite di altri 60 milioni? Quando cioè le perdite cumulate dall`Atac saranno di 1,3 miliardi dal 2007 e 1,55 miliardi nel decennio, perdite che sommate al debito esistente di 1,6 miliardi obbligheranno all`ennesima ricapitalizzazione d`urgenza visto che quella di 3 anni fa per 1 miliardo è svanita?
Ricapitalizzazione che dovrà essere autorizzata e compiuta dal governo, visto che il Campidoglio non ha certo i 200 milioni necessari, ancora una
volta dunque dal governo nazionale dopo 2 interventi straordinari salva-debito a favore di Roma per oltre 14 miliardi, adottati sotto il sindaco Alemanno e attuale?
Sono cifre devastanti, l`Atac e l`Ama di Roma sono oggi il vertice del disastro nazionale delle società pubbliche locali. Ma in nessun caso tutto ciò dovrebbe consentire allo Stato di chiudere un occhio sull`oltraggio quotidiano portato a
centinaia di migliaia di romani. Eppure, il prefetto non precetta. E lo Stato muore, di fronte ai cittadini.
Secondo esempio. Che riguarda sempre i prefetti, ma questa volta per le loro prerogative nella delicatissima materia dell`assegnazione degli immigrati ai Comuni. Dopo la sostituzione disposta dal governo del prefetto di Treviso, a
seguito della sollevazione della popolazione di Quinto contro dei rifugiati in case di edilizia privata e delle roventi polemiche scatenatesi con il presidente del veneto Zaia, il sindacato dei prefetti ha levato la voce. «Basta considerarci
capri espiatori», ha detto. Il punto non è la singolarità che anche i prefetti in Italia siano sindacalizzati. La questione riguarda ancora una volta l`imparzialità della legge, visto che nel nostro ordinamento napoleonico il prefetto rappresenta lo Stato centrale nei territori. Tra assegnazioni delle quote di rifugiati da parte del Viminale agli Enti Locali, e concreta scelta delle
strutture pubbliche o private alle quali assegnarle, è il prefetto a dover esercitare scelte molto rognose. Come insegna la maxi indagine su Roma Capitale, sono scelte pericolose per il rischio di evitare bandi di gara e procedure trasparenti, e ardue poiché al prefetto si chiede insieme di mediare con la politica locale, e di valutare possibili tensioni da parte dei residenti.
Anche sugli immigrati, la politica tira per la giacchetta i prefetti, che diventano non più garanti dell`esecutività di una norma, ma mediatori politico-culturali. E lo Stato muore un`altra volta, perché agli occhi dei cittadini, che non capiscono e protestano, il prefetto appare come il terminale ultimo di un grande scarica-barile istituzionale. E se i prefetti credono di rimediare a propria volta protestando pubblicamente contro lo Stato, ecco che il bailamme diventa generale.
Terzo esempio. Questa volta riguarda i magistrati. Si moltiplicano le ordinanze attraverso le quali pm e gip dispongono sequestri di beni strumentali produttivi, input e output della produzione. Dall`Ilva di Taranto alla Fincantieri a Muggia, l`estensione delle facoltà di misure cautelari di sequestro disposte dalla magistratura in fase d`indagine preliminare – cioè inaudita altera parte – ha compreso nel tempo elementi sempre più vasti rispetto a quelli essenziali indicati nei codici: i conti dell`impresa, il patrimonio personale dei suoi soci, gli impianti produttivi, le materie prime necessarie a produrre, i depositi delle medesime e degli scarti
di produzione, il prodotto finale. Se e quando la politica ha deciso d`intervenire con decreti ad hoc – visto che, ripetiamolo, si tratta di un`estensione autoevolutiva delle facoltà del magistrato – la magistratura ribatte sconfessando i decreti legge, appellandosi alla Corte Costituzionale ma intanto reiterando le proprie misure. I vertici nazionali dell`Associazione Nazionale Magistrati rilasciano interviste nelle quali affermano che non spetta al magistrato valutare le conseguenze economiche e occupazionali delle proprie decisioni. Restano isolate voci come quelle di Sabino Cassese, ex
giudice costituzionale che da queste colonne ha ribadito che un giudice non può far spallucce a una norma di legge per il solo fatto di non condividerla. E come quella di Nello Rossi, per otto anni coordinatore del pool economico alla
procura di Roma, per il quale al contrario l`esame delle conseguenze economiche rilevanti non può che costituire dovere imprescindibile da parte di un magistrato all`atto di emanare un provvedimento, in nome della proporzionalità e della congruità degli interessi pubblici da tutelare.
Può il giudice sostituirsi alla legge? Può il prefetto disapplicarla? Possono entrambi anteporre convinzioni proprie e interessi da mediare, a ciò che lo Stato deve essere e apparire, cioè imparziale e non discrezionale? La risposta è una sola: no. Ma in Italia è sempre più: invece sì. Non lamentiamoci, poi, se allo Stato credono in pochi.