IL MATTINO
Cascini: «Adulti con i minori il sistema funziona»
Cascini: un solo caso non giustifica interventi
Il caso di Airola ha acceso i riflettori sui carceri minorili. Ma il capo del Dipartimento della giustizia minorile, Francesco Cascini, invita a non drammatizzare. «Si tratta di episodi rari, che non possono consentirci di sottrarre un`importante opportunità di recupero di giovani che provengono da realtà svantaggiate».
Non è il caso tuttavia di pensare a qualche modifica, vistala compresenza di 14enni e 25enni? «No. Le fasce d`età compresenti nelle
carceri minorili pongono in linea generale qualche problema di gestione che i direttori degli istituti devono sapere gestire. Ma su questi aspetti c`è da parte del ministero grande attenzione e piena consapevolezza che il sistema è in
grado di ammortizzare i rischi. E laddove si dovessero registrare dei problemi siamo in grado di intervenire. Lo spirito della norma risponde all`esigenza di dare continuità al trattamento che si comincia sul minore che ha
compiuto un reato. Trasferire il ragazzo in un carcere per adulti dopo avere investito su di lui può talvolta rivelarsi un errore: si rischia di vanificare gli effetti di un percorso di recupero che talora dura armi».
Airola dimostra però che qualche insidia esiste. «A ben guardare, l`evento di Airola non è legato alla questione della convivenza tra fasce d`età diverse. Al momento dell`incidente, erano presenti nella struttura 37 detenuti, ma soltanto cinque di loro avevano più di 21 armi. Di questi cinque,
soltanto due hanno preso parte alla protesta, peraltro rivestendo un ruolo
marginale. Le maggiori responsabilità della rivolta sono attribuibili a diciottenni che sono già stati trasferiti».
Ma soggetti ad alto rischio possono indurre nei più piccoli una certa fascinazione. Non è una convivenza esente da rischi. «Non c`è convivenza tra quattordicenni e presunti boss, in quanto vivono in gruppi separati. Se la norma non ci fosse stata, gli episodi ai quali abbiamo assistito ad Airola, che pure sono gravi e non vanno minimizzati, si sarebbero verificati comunque».
Non è meno allarmante. È comunque difficile gestire una
media di 50 ospiti di cui 30 maggiorenni con otto educatori,
come accade ad esempio a Nisida. Non ci sono risorse troppo limitate? «Il sistema penitenziario minorile italiano è caratterizzato da una
grande apertura e offre ai ragazzi detenuti molte risorse. Avremmo sempre bisogno di qualcosa in più, è chiaro, ma le opportunità offerte non sono certo ridotte o inadeguate. E vale la pena offrirle anche e soprattutto in ambienti difficili fortemente penetrati dalla criminalità organizzata. E evidente che un
approccio aperto, caratterizzato da una gestione comunitaria che si avvale di attività fatte all`esterno delle camere detentive, talvolta può creare disordini. Ma fortunatamente sono rari. E non devono certo indurre a una rinuncia. Ghettizzazione e isolamento non sarebbero la risposta giusta».
Il terzo rapporto di Antigone mette in luce profonde differenze sui
metodi di gestione. In alcuni carceri si applica l`isolamento, e in altri no. Non è ora di dar vita all`ordinamento penitenziario
minorile che attende di essere realizzato da quarant`anni? «Sarebbe auspicabile, ma il fatto che non c`è ancora determina la necessità di applicare le norme che ci sono in modo intelligente e adeguato alle singole situazioni che si accertano. Qualche differenza nelle modalità di azione dei singoli istituti esiste. Ma stiamo lavorando per dare linee guida il più possibile omogenee. Resta il fatto che le regole ci sono, e chi se ne discosta ne paga le
conseguenze».
I minori, dicono molti operatori, avrebbero bisogno di un sistema a parte. Non ha intenzione di fare nulla il ministero della Giustizia? «Il ministro della Giustizia ha introdotto per la prima volta nella
legge delega sul processo penale otto punti dedicati al processo penale minorile. Il ministro Orlando ha dedicato al tema la massima
attenzione».
A Nisida e in altri penitenziari del Sud si lamenta la presenza di pochi educatori. È tutto sotto controllo? «A Nisida non sembrano emergere in questo momento particolari problemi. Ma ciò detto, nessun
istituto penitenziario è immune da rischi. Gli ospiti delle carceri minorili sono spesso adolescenti afflitti da problemi psichiatrici e di tossicodipendenza,
spesso reduci da esperienze drammatiche».
E sono presenti quasi esclusivamente meridionali e stranieri. Si potrebbe pensare a qualche forma di discriminazione. «È vero che molti dei ragazzi detenuti nelle carceri minorili provengono dal Sud. Ma è in qualche maniera inevitabile, visto che si tratta di giovani legati a realtà spesso svantaggiate come ce ne sono nel Meridione. E tuttavia anche a Napoli la messa alla prova conta su numeri importanti. Dire che “vanno in
galera” solo i ragazzi del Sud, e che quelli del Nord ottengono invece misure alternative, sarebbe un`equazione sbagliata».
Le opzioni a disposizione del minore da recuperare sono al Sud
più ridotte. «È ovvio che le misure esterne al carcere presuppongono un territorio attrezzato ad accogliere. Le difficoltà sono dovute spesso alla debolezza del territorio e degli enti locali, dove le opportunità lavorative latitano per molti. Un po` di difficoltà ci sono e sarebbe ipocrita negarlo. Ma gli sforzi messi in campo hanno prodotto risultati apprezzabili e occorre
continuare a lavorare». Francesco Lo Dico