L’INTERVISTA: Davigo (Anm): “in Italia ci sono troppi avvocati, così la giustizia va in crisi” (Corriere del Mezzogiorno)

CORRIERE DEL MEZZOGIORNO

Davigo (Anm): “in Italia ci sono troppi avvocati, così la giustizia va in crisi”

dom. 6 – Piercamillo Davigo domani alla Sun terrà una conferenza sulla crisi della giustizia. “In Germania i cassazionisti sono 39, in Francia 100, in Italia sono 52 mila”.
Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati sarà domani alla “Sun” parlare della crisi della giustizia in Italia. “Per uscire dalle difficoltà basterebbe attuare il contenimento della domanda patologica di giustizia. In Francia viene appellato solo il 40 per cento delle sentenze”.
E sugli avvocati aggiunge: “Sono impressionanti i dati relativi ai cassazionisti: in Germania ce ne sono 39, in Francia 100, in Italia 52 mila”. Troppi processi inutili o pretestuosi, rarissime sanzioni nei confronti di chi li avvia: è questo che ingolfa la macchina della giustizia in Italia secondo Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Davigo, che fu componente dello storico pool “Mani pulite” della Procura di Milano, sarà domani alla Sun per incontrare gli studenti di Giurisprudenza. Argomento dell’intervento, “La crisi della giustizia in Italia. Cause e possibili rimedi”.
Dottor Davigo, la crisi sembra così profonda che trovare un rimedio sarebbe un miracolo. “Niente affatto. Le cose sono molto più semplici di quanto appaiano. Per uscire dalle difficoltà basterebbe attuare il contenimento della domanda patologica di giustizia”.
Ci fa capire meglio? “Facciamo l’esempio dei processi d’appello. In Francia viene appellato solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire, in Italia le sentenze vengono appellate tutte. Questo accade per due motivi. Il primo è cercare di arrivare alla prescrizione: passa il tempo, i processi sono lenti, i reati si prescrivono, le condanne vengono cancellate. Il secondo motivo è semplicemente guadagnare tempo per rinviare l’esecuzione della sentenza. In Italia la Corte d’appello non può aumentare la pena se appellante è il solo imputato, in Francia tale divieto non
c’è e questo riduce gli appelli pretestuosi”.
Accade, immagino, nei processi civili in materia di credito. “Anche. Ammesso che un creditore riesca a ottenere una sentenza a lui favorevole, otterrebbe un interesse pari a quello di mercato e difficilmente riuscirebbe a farsi pagare dal debitore. Prima che la sentenza venga pronunciata, spesso il debitore occulta i beni e non gli succede niente. Questo non accade in altri Paesi, per esempio negli Stati Uniti, il cui rigoroso sistema giudiziario prevede un danno punitivo collegato a una condotta sleale”.
Come si esce da questo meccanismo odioso? “Occorre rendere poco conveniente agire o resistere indebitamente in giudizio. Tuttavia se, ad esempio, si riducesse della metà il numero dei processi, a parità di tutte le altre condizioni si ridurrebbe della metà il reddito degli avvocati. Allora è necessario prima riportare a livello fisiologico il numero degli avvocati. Attualmente un terzo degli avvocati dell’Unione europea sono italiani. Sono impressionanti i dati relativi ai cassazionisti: in Germania ce ne sono 39, in
Francia 100, in Italia 52 mila. La conseguenze è che in Italia sulla Corte di Cassazione si abbattono ogni anno quasi novantamila processi. Un numero di processi così alto rischia di inficiare il principio della nomofilachia che compete alla Cassazione, cioè la garanzia dell’uniforme interpretazione della legge. Le contraddizioni diventano possibili”.
Sono dati che colpiscono molto. “Infatti. Durante la mia permanenza a Milano gli avvocati sono passati da 980 a 23 mila: lo squilibrio mi pare evidente”.
Quali ne sono le cause, a suo avviso? “Ai miei tempi, quando si usciva dalla facoltà di Giurisprudenza, le strade possibili erano varie: una tra le più ambite, per esempio, era la carriera nella pubblica amministrazione. Ma la pubblica amministrazione non assume da vent’anni, le aziende private sono in crisi e il risultato è che il 93 per cento dei laureati in Giurisprudenza si avvia verso l’avvocatura. Numeri così alti mettono a rischio anche il controllo della deontologia”.
Quindi lei ritiene che il numero di processi vada ridotto? “È necessario, Ma una classe politica non è riuscita a riformare la debole categoria dei tassisti, non pensa neppure di affrontare quella degli avvocati”.
Domani lei parlerà proprio agli studenti di Giurisprudenza. “E dirò loro che, secondo me, è indispensabile istituire il numero chiuso, come già avviene in altre facoltà, nell’interesse loro e dell’avvocatura. Magari diventerò impopolare, ma sarò chiaro. Del resto il reddito degli avvocati è in forte calo, la tendenza mi sembra irreversibile”. Titti Beneduce

Foto del profilo di Andrea Gentile

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