L’INTERVISTA: Rossi: «No all’urlo fazioso, l’Anm recuperi una visione unitaria» (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

INTERVISTA NELLO ROSSI AVVOCATO GENERALE DELLA CASSAZIONE
Rossi: «No all’urlo fazioso, l’Anm recuperi una visione unitaria»

«Mi auguro davvero che cominci subito una fase due. Nella quale, dopo aver gettato un po’ di sassi nello stagno della giustizia, Davigo cominci a comportarsi, come si è impegnato a fare nel suo discorso di investitura, da presidente di tutti. Altrimenti saranno dolori».
Nello Rossi, Avvocato generale presso la Procura generale della Cassazione, ha alle spalle una lunga storia associativa, come leader di Md e segretario dell’Anm negli anni del secondo governo Prodi.
Procuratore, in che senso parla di «dolori»? Lo stesso Davigo, a chiusura dell’intervista sul Corriere della sera ha detto che spesso i magistrati sono dei pessimi politici perché sono abituati a seguire il criterio di competenza e non quello di rappresentanza. Nelle sue prime uscite lui non ha seguito il criterio di rappresentanza, di cui invece deve tener conto se vuol essere il rappresentante istituzionale di tutta la magistratura. Inoltre, a voler essere troppo fulminei nelle battute su temi di diritto si rischia anche di violare il criterio di competenza.
Cominciamo dalla rappresentanza. Davigo è efficace mediaticamente e ha una storia di autorevolezza professionale alle spalle. Non basta? No, Davigo è un uomo di qualità e di grandi meriti ma non può pensare di rappresentare una realtà complessa come la magistratura, le sue idee, le sue proposte, la sua storia, snocciolando un campionario di frasi ad effetto.
Tramontato Berlusconi, la magistratura sembra stare insieme con lo sputo: crisi di identità, sfiducia dei cittadini, questione morale trovano risposte diverse nelle diverse anime dell’Anm. Non c’è il rischio che la sintesi diventi una risposta corporativa? Dopo più di otto anni abbiamo di nuovo una Giunta unitaria ed è un fatto prezioso. Proprio questa voglia di unità ha portato ad assegnare il primo turno di presidenza dell’Anm al leader del gruppo che ha avuto meno voti; un dato di cui Davigo dovrebbe tener conto. Questo non è il momento più difficile attraversato dalla magistratura, ma certamente è assai insidioso. Finita l’epoca dei continui assalti di Berlusconi e del pregiudiziale sostegno alla magistratura di un’ampia parte di cittadini, non c’è più la compattezza interna delle fasi di antagonismo e sono emersi due dati: il disagio per le condizioni di lavoro difficili e insoddisfacenti e il disvelamento di una nuova questione morale. E l’approccio obiettivamente irritante del presidente del Consiglio Renzi alle questioni di giustizia provoca la reattività della magistratura.
La reattività è comprensibile ma, ripeto, non vede un rischio di scivolamento nella difesa corporativa? Certo, c’è il rischio che, inseguendo Renzi sul suo terreno, la magistratura perda di visione e che al suo interno emergano e prevalgano tensioni e spinte corporative.
Quando lei era segretario dell’Anm, qualcuno disse che l’Anm era «amica del governo di centrosinistra»… Quando non c’è più lo scontro frontale, tutto diventa più complicato. Anche allora c’era bisogno di esercitare l’arte della distinzione. In ballo c’era l’entrata in vigore della legge Castelli sull’ordinamento giudiziario che il governo Prodi ha modificato, almeno sulla giustizia disciplinare liberticida e sulla progressione in carriera attraverso continui concorsi. Così oggi bisogna imparare a muoversi in un contesto diverso, cogliendo ad esempio le differenze tra l’approccio superficiale e sloganistico di Renzi e alcune buone iniziative del ministero della Giustizia.
Davigo sembra aver scelto il corpo a corpo, sia pure come reazione a Renzi… La stampa ama i duellanti perché i duelli sono inesauribili e avvincenti mentre i problemi, soprattutto se irrisolti e incancreniti come quelli della giustizia, diventano noiosi. Ma un attore riflessivo della scena istituzionale come la magistratura deve continuare a martellare sui fatti e sul merito delle questioni aperte senza attardarsi a guardare l’opera dei pupi sulla giustizia che, ieri Berlusconi, oggi Renzi, hanno tutto l’interesse a inscenare.
Le cose dette da Davigo sui problemi non la convincono? Alcune sono vere, incisive e sacrosante, come quando rifiuta responsabilità dei magistrati per la lentezza dei processi, denuncia l’enorme spreco di attività e di intelligenza che nasce dall’attuale regime della prescrizione e delle impugnazioni o reclama rispetto per il lavoro della magistratura. Altre sono approssimative e discutibili, come quelle riservate alla situazione delle carceri o al trattamento, nel nostro Paese, dei migranti che commettono reati. Qualcuna, infine, è al limite del nonsense. Penso all’affermazione, stupefacente, che il problema della indebita divulgazione di intercettazioni che non servono ai processi ma ledono la dignità degli intercettati, è già risolto dalle norme sulla diffamazione. Qualunque giudice sa che non è affatto così e che, su questo terreno, l’impegno di self restraint dei procuratori di Roma, Torino, Napoli, con le loro circolari, non è un esercizio vuoto e inconcludente ma un servizio al Paese e alla stessa magistratura.
Qual è, allora, la visione unitaria “possibile”? Certamente la visione di una magistratura capace di essere intransigente sui princìpi ma in grado di ricercare alleanze sociali e professionali, capace di valorizzare al massimo l’impegno sul processo civile, decisivo per la vita dei cittadini e delle imprese, e in grado di riconoscere che fenomeni gravi e complessi come la criminalità economica, politica e amministrativa si affrontano su più piani e mobilitando tutte le forze in campo, dalla buona politica alle professioni, all’economia sana.
Proporsi come unici paladini della legalità può far riscuotere consenso popolare (anche se i sondaggi dicono che il consenso è in calo). Ma la cultura della legalità può essere confinata nella repressione penale e nel panpenalismo? Intanto, se rimanessimo soli saremmo destinati alla sconfitta, così come se dessimo l’idea di essere interessati solo alla repressione. C’è tutto un tessuto di legalità da valorizzare fatto di tutela dei diritti e di rispetto delle garanzie. Un tessuto da curare e rammendare perché dà la cifra della civiltà di un paese.
Condivide chi dice che i magistrati, e persino il presidente dell’Anm, dovrebbero parlare solo con le sentenze? Assolutamente no. Ma l’Anm non ha bisogno di un presidente che emuli i politici sul terreno delle generalizzazioni, fidando nel fatto che la “gente”, distratta dai suoi molti impegni privati, non ha tempo di controllare. Non c’è alcun limite al diritto di parola di un magistrato, che può parlare di tutto. Il punto è “come” parla. Il cittadino ha diritto di attendersi che un magistrato, che magari domani sarà il suo accusatore o il suo giudice, sia sempre un interlocutore razionale, capace di ascolto, che rifiuta l’urlo fazioso e sceglie di spiegare e di spiegarsi. Per intonare In questo mondo di ladri, basta Antonello Venditti… Donatella Stasio

Foto del profilo di Andrea Gentile

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