IL CORRIERE DELLA SERA
Orlando: «Da noi il pericolo del proselitismo cresce nelle carceri»
sab. 26 – ROMA «I Paesi che più gridano al pericolo terrorismo, sono quelli che più spesso ostacolano la soluzione. Col vestito di Arlecchino l`Europa non lo sconfiggerà mai». Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri vara la banca dati del Dna, per incrociare le informazioni su criminali e crimini risolti e insoluti, il ministro della Giustizia Andrea Orlando striglia i Paesi europei che fanno resistenza a norme comuni. Punta il dito sul pericolo di radicalizzazione
nelle carceri: «Da noi sono 7.50o i detenuti che professano la fede musulmana, anche se l`attenzione non deve essere rivolta soltanto a loro».
E sulla «svolta» delle indagini per la morte di Giulio Regeni dichiara: «Attendiamo i riscontri necessari, con la ferma determinazione a sapere la verità. Non dei surrogati».
Ministro Orlando, gli attentati di Bruxelles hanno mostrato ancora un`Europa inerme. C`è chi pensa che i terroristi abbiano goduto di
coperture. «Non servono tesi complottiste. Basta il fatto che le polizie
e i servizi non si parlano a giustificare il fatto che non sono stati presi subito».
Cosa serve? «Lo diciamo da anni. Serve lo scambio di informazioni e
norme comuni: sulla tracciabilità dei flussi finanziari che alimentano anche il terrorismo, sul traffico di armi. E una cooperazione maggiore».
Delle intelligence? «Anche giudiziaria. Per noi è urgente una procura europea che partendo da reati come le frodi, arrivi ad assumere
una regia contro il terrorismo. Ma così come è ipotizzata ora rischia di essere contro producente».
Perché? «Scritta in un modo troppo barocco. C`è sempre il timore che si intacchi la sovranità nazionale. Ma la diffidenza è un lusso che non possiamo permetterci».
Il garantismo? «Non possiamo derogare ai nostri principi e alle nostre costituzioni, sarebbe una sconfitta. Anche per questo è importante avere un soggetto giurisdizionale unico che guidi l`attività di polizia. Non abbiamo
bisogno di leggi più dure. Ma più efficienti».
Che cosa avete deciso nel vertice tra ministri della Giustizia e degli Interni europei? «C`è l`impegno alla cooperazione. Speriamo si traduca in
qualcosa di fatto».
Cosa intende? «La direttiva antiterrorismo nata dopo la strage al Bataclan
ancora non c`è. In più c`è l`arma di distrazione di massa».
Ovvero? «Si continua a dire, cosa di per sé necessaria, tuteliamo i
confini quando è dimostrato ormai che i terroristi sono nati e cresciuti in Europa».
E dunque? «Non voglio fare polemiche, ma i Paesi che più si oppongono
a Schengen si sono trovati, pare, il terrorista Salah che varcava il confine tra Austria e Ungheria. Si costruiscono muri, ma il terrorismo lo abbiamo in casa».
Indagini faticose di terrorismo sono finite con espulsioni di soggetti che poi hanno continuato l`attività. Che fare? «Da noi si tratta di un numero contenuto. Ma è per questo che serve scambiarsi le informazioni. Noi sappiamo quanto sia importante una mappa di tutti coloro che sono potenziali criminali. Per questo abbiamo varato la banca dati del Dna. È un passo fondamentale per la sicurezza. Ma è anche uno strumento risolutivo per le indagini in corso, principalmente di terrorismo.
Ma anche per i cold case».
Noi non abbiamo ancora banlieue, quanto è sotto controllo il rischio di radicalizzazione dell`Islam? «La seconda generazione di
immigrati, quella che in altri Paesi ha più subito l`influenza delle predicazioni estremiste ed è più esposta alla radicalizzazione, nel nostro Paese è
molto giovane. Per questo possiamo evitare quella deriva investendo sulla scuola e sulle periferie a rischio. Contemporaneamente vigilando e contrastando il fenomeno della jihadizzazione di ogni forma di radicalismo violento».
Quali sono le dimensioni di questo fenomeno? «Stiamo facendo un accurato monitoraggio. Sono 34 le persone detenute per fatti in qualche modo legati al terrorismo di matrice jihadista, 208 sono quelle monitorate. Diciamo
che sottoposte a vari tipi di controllo sono circa 35o. Ci sono 10.500 detenuti che provengono da Paesi di fede musulmana e 7.500 che la professano.
In un ambiente come il carcere c`è il rischio di una zona grigia di proselitismo. Per questo troviamo positivo l`impegno preso a finanziare progetti di deradicalizzazione da parte dell`Europa».
Su Giulio Regeni l`Egitto tira fuori un`altra verità, comoda per il governo. Che cosa ne pensa? «Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, quando è stato in Egitto rappresentava le nostre istituzioni. Per l`Italia ha il compito di valutare l`attendibilità delle informazioni che ci arrivano. Il governo italiano vuole la verità non dei surrogati». Virginia Piccolillo