LA STAMPA
Pajno: “Una task force di ex giudici per abbattere l`arretrato”
Il presidente del Consiglio di Stato al governo: “In breve sarebbe azzerato
lun.4 – Alessandro Pajno è presidente del Consiglio di Stato da sei mesi, nel periodo in cui questa antica istituzione, nata per volere di Carlo Alberto
nel Regno di Sardegna e posta al vertice della giustizia amministrativa, vive il suo cambiamento più vorticoso, che si concluderà con i rinnovo della metà dei cento giudici entro il 2017. Nel frattempo con un deficit di organico del
38% fornisce decine di pareri sulle principali riforme del governo, a cui chiede un decreto per azzerare i processi arretrati. Ma il cambiamento principale è culturale: «Dobbiamo aprirci ai cittadini e non alzare barriere».
I giudici penali comunicano troppo, voi troppo poco? «Io non auspico un giudice silenzioso e solitario, che si condanna all`incomprensione. Ma temo un eccesso di comunicazione non istituzionale per ricerca di consenso».
È opportuno che i magistrati si schierino su questioni politiche
come il referendum? «No a divieti e regole assolute, sì al self restraint dei capi degli uffici. L`imparzialità e l`immagine di indipendenza vanno salvaguardate quanto la libertà di manifestazione del pensiero».
Come mai siete percepiti come blocco del Paese? «È un luogo comune. Sugli appalti la sentenza definitiva arriva in un anno e mezzo. Nelle recenti elezioni abbiamo deciso su centinaia di ricorsi, con punte di 64 sentenze al giorno. Performance di livello europeo».
Vi chiamano parrucconi. «Non lo siamo antropologicamente né anagraficamente. La composizione è eterogenea e siamo una delle Corti supreme europee con la più alta concentrazione di magistrati under 50.
Non siamo come i cardinali del film “Roma” di Fellini. Ma se ci percepiscono così, dobbiamo chiederci perché».
Lei che risposta dà? «Siamo stretti tra due emergenze.
Da una parte le norme sono numerose, complicate e variabili; dall`altra la pubblica amministrazione reagisce con la fuga dalla responsabilità, con la paura di scegliere. Tutto viene scaricato sul giudice, che resta col cerino
in mano. La conseguenza è la paralisi, vero gap del Paese».
A cui voi contribuite? «Meno di quanto si dica. Le sospensive
sono ormai limitatissime. La decisione della pubblica amministrazione viene confermata nel 70% dei casi. Solo due sentenze dei Tar su dieci cambiano in
appello. Però la nostra attività è più difficile da spiegare, da “volgarizzare”,
rispetto al penale».
Dunque il sistema funziona, va solo “volgarizzato”? «No, anche noi dobbiamo migliorare. Rapidamente».
Come? «Capendo e spiegando che il diritto amministrativo è diventato
il diritto della post modernità in uno scenario transnazionale. È la nostra grandezza e il nostro limite».
Perché un limite? «Talvolta pensiamo che il mondo vada guardato dal buco della serratura della magistratura. Io penso il contrario: prima c`è
il mondo, poi noi. Se non usciamo dall`autoreferenzialità, per i cittadini resteremo sempre dei parrucconi».
Cos`è l`a utoreferenzialità? «Qualcuno si ritiene assiso su un soglio importante. Io penso che svolgiamo un servizio pubblico, non esercitiamo un potere e dobbiamo renderne conto come tutti. La giustizia è una risorsa
come l`acqua, non va sprecata».
I servizi pubblici sono soggetti a valutazione esterna. E il vostro?
«Anche il nostro. Veniamo da un`atmosfera culturale in cui ci preoccupavamo di garantire il giudice e la sua indipendenza, non la qualità del servizio. Ora bisogna contaminarsi e organizzarsi. Senza paura».
E l`indipendenza dei giudici? «Non la vedo a rischio. C`è la Costituzione. E poi ormai è nel nostro Dna».
Bastano organizzazione ed efficienza? «No, senza un cambio culturale.
Faccio l`esempio delle motivazioni delle sentenze, a volte troppo lunghe. Essere sintetici è più difficile, lo so, ma non possiamo pensare di scrivere come un secolo fa. Più semplice e sburocratizzato è il linguaggio, più efficace
è l`azione».
Qual è il cambio culturale? «Il nostro compito è dare giustizia al cittadino nei confronti del potere pubblico. Le nostre decisioni incidono sull`economia del Paese e il rapporto tra tempo e processo è fondamentale».
E gli altri processi? «C`è il rischio che restino indietro,
creando una giustizia di serie B. Una buona organizzazione e una diversa cultura possono evitarlo. Ma prima bisogna liberarsi della zavorra dell`arretrato. Oggi fissiamo udienze di ricorsi sorti dieci anni fa. Questa
massa va smaltita».
Che cosa chiedete al governo? «Una piccola task force straordinaria
di giudici in pensione, per un periodo limitato a smaltire l`arretrato. Non complicato né costoso e con evidente beneficio. Noi possiamo impedire che in futuro si riproducano sacche di arretrato e concentrarci anche sull`altra funzione, consultiva sull`attività normativa del governo».
È la meno conosciuta. «Ma è la più antica. Il Consiglio di Stato nacque nel 1831 proprio per porre un freno di legalità al governo. Oggigiorno è una forma di legalità preventiva che ci rende attori delle riforme di sistema».
Qual è la cifra dei vostri pareri sulle ultime riforme del governo, dal canone Rai alla pubblica amministrazione? «Abbiamo guardato non solo alla legalità formale, ma soprattutto alla capacità di funzionare
davvero. Un lavoro enorme che il Parlamento ha apprezzato e il governo accolto in gran parte».
In gran parte. «Sugli appalti avremmo ulteriormente ridotto il massimo ribasso. Ma la materia è controversa e si sono fatte diverse e legittime valutazioni».
Come sono i rapporti con il governo? «Direi buoni e ispirati a piena
collaborazione. E comunque si deve distinguere la polemica politica dai comportamenti istituzionali, sui quali non vi è nulla da eccepire. Ciascuno fa quello che deve. Ma ho l`impressione che l`incomunicabilità sia superata,
con il tempo si impara a conoscersi. Il momento storico chiede un supplemento di cultura istituzionale. A tutti».
Il governo ha appena rinviato per la terza volta l`avvio del processo telematico. «Mi spiace, noi eravamo sostanzialmente
pronti. Forse sarebbero state utili piccole modifiche. Un Paese che rinvia è un
Paese che non vuole affrontare la realtà. Il rinvio non appartiene alle migliori abitudini nazionali. Spero almeno che sia l`ultimo. Abbiamo altri sei mesi,
usiamoli al meglio».