MAGISTRATI: Due pesi e due giustizie (Panorama)

PANORAMA

Due pesi e due giustizie
Piercamillo Davigo e Piergiorgio Morosini attaccano il governo, la politica e la riforma costituzionale renziana. Così oggi, a sinistra, c`è chi ipotizza «restrizioni» alla libertà d`espressione dei magistrati. Dopo averli blanditi e lasciati liberi, per anni, di aggredire ogni presunto avversario. Soprattutto a destra.

E’ ufficiale: il ministro Andrea Orlando ha appena suggerito a tutti i tribunali
italiani di modificare le statue della Giustizia. Servirà un esercito di scalpellini ma da domani, per conformarsi alla realtà, le statue riavranno gli occhi e soprattutto saranno dotate di nuove bilance, con due pesi e due misure.
La storica decisione vuole celebrare i fasti del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, riconosciuto campione nello sport dei «due metri di giudizio»: quando vengono indagati i suoi amici, nei loro confronti il presidente del Consiglio eccepisce la presunzione d`innocenza, mentre tutti gli altri (soprattutto quando gli sono d`ostacolo) vengono lasciati cadere.
È una storia che va avanti da anni. Nel 2008, Renzi si collocava idealmente tra i pochi garantisti del Pd, però intanto prendeva parte all`accusa contro
Leonardo Domenici, sindaco di Firenze e suo predecessore, poi caduto sotto l`uso disinvolto del materiale d`inchiesta da parte di magistrati e giornalisti. E alla fine del 2013 Renzi pretendeva a gran voce le dimissioni dì Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia di Enrico Letta, per qualche telefonata in difesa di Giulia Ligresti, la figlia del finanziere Salvatore finita in cella. Oggi, davanti alle ultime inchieste che hanno colpito i suoi, il premier Renzi si è
messo a contestare «vent`anni di barbarie giustizialista», però insiste nel vizio: mesi fa ha lasciato si dimettesse il ministro Maurizio Lupi, e solo per un Rolex regalato da un imprenditore indagato a suo figlio. Al contrario, il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, indagato nell`inchiesta lucana su Tempa rossa, resta al suo posto. E all`arresto di Simone Uggetti, sindaco di Lodi, il membro laico del Pd Giuseppe Fanfani (incidentalmente già avvocato di Pier Luigi Boschi, il pluri-indagato padre del ministro Maria Elena) ha fatto addirittura indebite pressioni sul Consiglio superiore della magistratura perché aprisse un`inchiesta.
È vero, il doppiopesismo giudiziario non è certo un`esclusiva di Renzi e del Pd. E se il premier è appena andato in tv a gridare «Basta con il garantismo a giorni alterni», forse più che con la metà giustizialista di se stesso ce l`ha con i vertici del Movimento 5 stelle che improvvisamente, dopo aver chiesto le dimissioni di ogni amministratore pubblico sfiorato da una Procura, si sono messi a difendere a spada tratta il loro sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, indagato per malversazioni nell`immondizia.
Eppure, sarà forse perché nella radice etimologica del sostantivo «ipocrisia» compare il verbo greco «krino», cioè «giudicare», va detto che il tema giustizia in Italia ha effettivamente assunto i tratti di un`immensa
ipocrisia di massa. È solo l`ipocrisia, infatti, a governare un Csm che oggi s`interroga se censurare il suo consigliere Piergiorgio Morosini,
giudice di Magistratura democratica che al Foglio ha dichiarato (e
poi faticosamente smentito) che «il Csm è tutta politica» e che con le riforme renziane si rischia «una democrazia autoritaria».
Le parole di Morosini hanno i toni della verità. Ma dopo averle lette il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, ex parlamentare del Pd, le ha definite «inaccettabili» e s`è messo a proporre norme per evitare che
i magistrati si schierino per il sì o per il no al referendum istituzionale: «È un voto che ha valore politico» dice «quindi le toghe non possono
fare campagna». Claudio Galoppi, togato del Csm, ha aggiunto: «I magistrati non devono fare politica, manifestazioni, campagne, né strumentalizzare la loro funzione. Diverso è esprimere un parere tecnico su una riforma costituzionale: questo è un diritto.
Curioso. Nessuno pare ricordare quanto accadde nel 1996 al referendum radicale contro l`automaticità della carriera delle toghe, quando Elena Paciotti, allora segretario dell`Associazione nazionale magistrati, partecipò ufficialmente dalla parte del «no» alle trasmissioni elettorali della Rai. Nel 1998 il pm milanese Gherardo Colombo attaccò la Bicamerale delle grandi riforme costituzionali, sostenendo che era «figlia della società del ricatto», e dopo due anni d`indagini il Csm lo assolse. Il 25 aprile 2006 scese in piazza perfino il numero due del Csm, Virginio Rognoni: per «salvare la Costituzione» contro la riforma appena varata dal governo Berlusconi, sfilò a fianco dei partigiani dell`Anpi e di Guglielmo Epifani, capo della Cgil, con Gerardo D`Ambrosio e Ilda Boccassini; e al referendum vinsero i no di «ricucire la Costituzione» (lo slogan di Md) col 61,7 per cento. Nel 2013 un altro presidente dell`Anm, Pasquale Pacifico, bollò come «tentativo di delegittimazione» i sei referendum radicali «per la giustizia giusta» (dalla separazione della carriere all`abolizione dell`ergastolo, fino alla responsabilità civile), che non raggiunsero il quorum. Ancor peggio riuscì a fare Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto a Palermo, che nel 2011 gridò «Sono un partigiano della Costituzione» al congresso del Partito dei comunisti italiani: sottoposto ad azione disciplinare dal Csm, fu ovviamente assolto perché «i magistrati possono esprimersi, se con sobrietà» e perché, dopotutto, era stato soltanto «un episodio».
Questo è oggi il problema: come si fa a vietare ai magistrati quel che è sempre stato loro consentito? Certo, l`ipocrisia continua ad aleggiare sulla magistratura e sull`intero Paese. Perché nessuno ha nemmeno ipotizzato
indagini disciplinari su Piercamillo Davigo, che appena eletto presidente
dell`Anm in un`intervista al Corriere della Sera del 22 aprile ha dichiarato che «I politici rubano più di prima, ma oggi non si vergognano nemmeno più», e ha accusato gli ultimi governi di connivenza con i corrotti.
Ma evidentemente Davigo fa più paura del pm d`Imperia, Barbara Bresci, titolare dell`inchiesta sull`esplosione di una villetta di Sanremo dove alloggiava Gabriel Garko: lei, al contrario, è finita sotto inchiesta al Csm per alcuni innocui apprezzamenti sulla bellezza dell`attore. Per il Csm sono
«lesivi del prestigio dell`istituzione giudiziaria». Per carità: fermatela. Maurizio Tortorella

Foto del profilo di Andrea Gentile

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