IL DUBBIO
I giudici festeggiano lo stop al ddl penale: “abbiamo vinto grazie all’Anm”
La “linea” Piercamillo Davigo paga. Il successo è innegabile, nitido. Sono state sufficienti un paio di interviste su alcuni quotidiani “giusti” ed il gioco è fatto. I lavori parlamentari del disegno di legge 2067 sul processo penale sono stati come per prodigio subito interrotti. Quando sembrava che l’accordo fra le forze politiche fosse stato faticosamente, raggiunto, ecco che la fatwa del presidente dell’Associazione nazionale magistrati rimette tutto in discussione.
La lettura del cortocircuito governativo sulla giustizia è molto popolare tra gli stessi magistrati. Alcuni dei quali raccontano di aver letto sulle mailing list riservate dei giudici entusiastici, trionfali commenti di diversi colleghi dopo il no di Renzi alla fiducia sulla riforma.
Esaltazione della linea Davigo, che ha procurato la retromarcia del premier sulla blindatura del testo. Vere e proprie esultanze per quella frase, “su una legge che dovrebbe servire ai giudici non si può andare contro il capo dell’Anm”. Una frase del genere, scrivono le toghe nelle loro mail, “Renzi non l’avrebbe mai pronunciata un anno fa”. Vittoria. Governo ridotto alla resa.
Il giubilo proviene sia da magistrati che appartengono alla corrente di Davigo, Autonomia & Indipendenza, che da altri gruppi della magistratura associata. Non si tratta insomma solo di propaganda interna all’Anm, ma della consapevolezza che qualcosa sta cambiando negli equilibri del potere.
Si potrebbe osservare che l’errore è stato all’inizio: non aveva speranze di essere approvato un disegno di legge che ha per titolo “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”. Troppe garanzie tutte insieme, fumo negli occhi per il potentissimo partito dei pubblici ministeri.
Nel dibattito che sta ora avvenendo all’interno dell’Anm, il risultato ottenuto da Davigo è lampante. Domenica scorsa, all’incontro organizzato dalla sua corrente, ha accusato apertamente il governo Renzi di aver compiuto in questa legislatura le cose più “incredibili”. Sono lontanissimi i tempi della felpata gestione di Rodolfo Sabelli, che allo scontro frontale prediligeva la mediazione. In meno di un anno, Davigo è riuscito ad imporre la sua linea alla Giunta esecutiva dell’Anm senza correre il rischio che qualcuno gli facesse ombra.
Tra i nodi del contendere, una norma che avrebbe riportato il Paese nell’alveo dello Stato di diritto. E cioè, l’obbligo per i pubblici ministeri, quando sono scaduti i mesi e mesi per terminare le indagini, di decidere entro tre mesi dalla loro chiusura, se chiedere l’archiviazione o se andare avanti formulando il capo d’imputazione. Secondo la norma che si voleva introdurre per rendere certi i tempi della effettiva chiusura delle indagini, se il pm rimane inerte per tre mesi, i suoi colleghi della procura generale decideranno al suo posto, ricorrendo all’avocazione.
Norma di assoluto buon senso, che avrebbe impedito ai pubblici ministeri di tenere sulla graticola per anni i propri indagati. Troppo bello per essere vero.
Renzi ha ceduto, Davigo ha vinto. Accreditandosi ancora di più fra i suoi colleghi. E, forse, in caso di vittoria del No al referendum, proponendosi come alternativa per Palazzo Chigi. Raffaele Cantone permettendo. Paolo Comi