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Le tensioni sulla giustizia e l’incrocio delle nomine
Davigo verso la presidenza Anm e Greco possibile procuratore di Milano
C’è preoccupazione, nei palazzi delle istituzioni, per le tensioni che potrebbero innescarsi tra governo e giudici sull’onda dell’inchiesta di Potenza e delle reazioni di Matteo Renzi; quelle definite «inopportune nei tempi e inconsistenti nei fatti» dal rappresentante locale dell’Associazione magistrati. Considerata l’attenzione con cui il capo dello Stato (nonché presidente del Consiglio superiore della magistratura) segue i problemi della giustizia, è probabile che Sergio Mattarella ne parli con lo stesso Renzi nell’incontro previsto a breve che avrà all’ordine del giorno altre questioni, prima fra tutte la nomina del successore di Federica Guidi al ministero dello Sviluppo economico.
L’elezione di sabato. Il punto di partenza è l’indagine che ha provocato le dimissioni della Guidi e la deposizione della ministra Maria Elena Boschi, ma è stata la contromossa del premier a destare inquietudine nelle toghe. Non solo lucane. Tanto che, secondo molti, la spinta maggiore all’elezione di Piercamillo Davigo a presidente dell’Anm nazionale — prevista nel comitato direttivo convocato per sabato prossimo, considerata molto probabile ma non ancora certa — è arrivata proprio dal capo del governo, grazie alle sue esternazioni contro i pubblici ministeri di Potenza.
La cattiva luce. I magistrati, con poche eccezioni e distinzioni, hanno vissuto l’autochiamata in correità di Renzi («l’emendamento su cui hanno chiamato a testimoniare la Boschi l’ho voluto io, interrogate me, sono a disposizione») come un atto d’accusa contro la presunta invasione di campo dei pubblici ministeri. Tuttavia è molto improbabile che la ministra sia stata chiamata a deporre sulla politica industriale del governo; piuttosto su qualche specifico, ipotetico aspetto relativo a posizioni o comportamenti della Guidi e del suo compagno indagato. Dunque il premier avrebbe «depistato», mettendo in cattiva luce l’inchiesta e gli inquirenti.
Le correnti. Se Davigo fosse già stato presidente del «sindacato dei giudici», si può immaginare che al premier sarebbe arrivata a stretto giro una efficace replica, e questo rafforza la sua candidatura. Che non tutti, nell’Anm, vedono con favore. Davigo è stato il più votato alle recenti elezioni dell’Anm e la sua nuova corrente (Autonomia e indipendenza, nata da una scissione di Magistratura indipendente, il gruppo «di destra» che fa capo a Cosimo Ferri, attuale sottosegretario alla Giustizia) ha registrato un indiscutibile successo. Ma ha vinto anche Unità per la costituzione, corrente «centrista» che da mesi si adopera per evitare nuovi scontri con la politica, partendo dalla considerazione che Renzi non è Berlusconi; per loro la scelta del giudice milanese non è scontata, sebbene tutti auspichino una Giunta unitaria per guidare il «sindacato» che difficilmente si realizzerebbe con un’altra presidenza.
Le parole di Palamara. «Individuare eventuali patologie delle indagini spetta alla magistratura, non ad altri, e provare a fare il contrario rischia di riacutizzare contrasti che non fanno bene a nessuno», è il commento lapidario di Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e consigliere di Unicost al Csm, alle parole di Renzi. Come dire che il presidente del Consiglio ha sbagliato, ma non bisogna esagerare con le reazioni né favorire il «muro contro muro».
I candidati
Proprio al Csm si respira inquietudine per ciò che è avvenuto negli ultimi giorni, e potrebbe avvenire nei prossimi. Anche perché l’organo di autogoverno si appresta a compiere una scelta importante e delicata — il nuovo procuratore di Milano — che non c’entra niente con l’indagine di Potenza ma contribuisce ad appesantire il clima. La prossima settimana, se non già oggi, la commissione Incarichi direttivi voterà sui candidati da proporre al plenum, e il più accreditato resta l’attuale procuratore aggiunto Francesco Greco (ma è possibile che i commissari si dividano tra più nomi). Dunque la magistratura potrebbe indicare, quasi in contemporanea, due toghe-simbolo di Mani Pulite e di una certa stagione giudiziaria — Davigo e Greco, appunto — per due poltrone chiave su aspetti diversi ma connessi: le indagini e il confronto con la politica. Per entrambi i posti non c’è nulla di certo, tranne l’avvicinarsi delle scadenze per le nomine. Che, sebbene non direttamente collegate alle polemiche innescate dall’inchiesta lucana, rischiano di risentirne.