PANORAMA
MALAGIUSTIZIA
Detenuto 18 anni da innocente
Pietro Melis nel 1997 è stato arrestato per rapimento
Colpevole. Anzi, innocente. Nel mezzo 18 anni, sette mesi e cinque giorni di galera. Il protagonista è Pietro Paolo Melis, allevatore sardo, che il 10 dicembre 1997 è tratto in arresto per ordine del gip di Cagliari. Alle porte del suo paese, Mamoiada, nel nuorese, una pattuglia di carabinieri gli intima di fermarsi. «Rientravo a casa dopo una giornata in azienda. Ho notato un posto di blocco sul ciglio della strada, all`improvviso mi sono ritrovato i mitra puntati addosso» racconta Melis a Panorama. «Avevo già ricevuto un avviso di garanzia per la scomparsa di una signora mai vista prima in vita mia. Ero tranquillo perché non avevo nulla a che fare con quella storia, non avevo mai avuto problemi con la giustizia. Quando sono arrivato in commissariato, ho pensato: passo qualche ora qui e si chiarisce tutto».
Le cose andranno diversamente, e Melis resterà 18 anni in galera. La vittima è una possidente di Abbasanta, Giovanna Maria Licheri, 68 anni, rapita il 14 maggio 1995 da un commando di quattro uomini armati mentre lei è intenta, di prima mattina, a mungere il bestiame nell`azienda di famiglia.
I suoi quattro figli sono pronti a pagare il riscatto ma la trattativa è ostacolata dalla legge sul blocco dei beni volta a impedire i contatti tra familiari e banditi. Il corpo della donna non sarà mai ritrovato. «Ho sempre rispettato il dolore della famiglia» dichiara Melis «ma è giusto che io sconti una pena per qualcosa che non ho commesso? Così le ingiustizie diventano due, non una
soltanto».
Ne11997 due persone sono condannate per il rapimento: Giovanni Gaddone, di Loculi, e lo stesso Melis. La condanna a trent`anni di reclusione diventa definitiva il 13 dicembre 1999. «Gaddone lo conoscevo superficialmente. Era un allevatore come me, io ero attivo nell`associazione regionale allevatori, mi occupavo dei conguagli del bestiame». Dopo alterne vicende, lo scorso
15 luglio la corte d`Appello di Perugia revoca la condanna assolvendo Melis per non aver commesso il fatto. «Grazie alle nuove metodologie scientifiche impiegate dal nostro consulente fonico, è emerso che la voce dell`ignoto interlocutore che conversava con Gaddone nel settembre `95 non s`identificava con la voce di Melis» spiega l`avvocato Maria Antonietta
Salis. «Va inoltre notato che la condanna non attribuiva a Melis un ruolo specifico nell`organico della banda dei rapitori, dal numero peraltro imprecisato». Come si resiste al carcere da innocente? «Il mio antidoto
è stato la speranza. Sapevo di essere innocente». Nel 2012 la corte d`Appello
di Roma dichiara inammissibile l`istanza di revisione asserendo che i risultati offerti dalle nuove tecniche scientifiche non sarebbero in grado di inficiare «con assoluta certezza» la perizia dell`epoca. L`anno dopo, la Cassazione annulla l`ordinanza e trasmette gli atti alla corte d`Appello di Perugia. Dopo un primo diniego, i difensori Salis e Alessandro Ricci ottengono
la revisione del processo: la voce incriminata non è quella di Melis. «In carcere, prima a Spoleto e poi a Nuoro, ho avuto solo qualche permesso per far visita ai miei genitori. Mio padre è morto mentre ero dietro le sbarre, mia madre ottantacinquenne mi ha rivisto qualche giorno fa e non credeva ai suoi occhi».
Riprendere il filo di una vita interrotta dev`essere un`impresa. «Non ho voluto un pranzo o una festa, non ho nulla da festeggiare. Mi hanno rovinato per sempre. Al momento dell`arresto avevo 38 anni, oggi 56. Avevo una compagna, volevo costruirmi una famiglia, lei ha resistito otto anni poi mi ha lasciato. Non l`ho neanche sentita dopo la mia liberazione, non so se si sia sposata. Con una sola visita a settimana puoi resistere qualche anno, poi i sentimenti si raffreddano, è inevitabile». In molti bussano alla porta per salutare il suo ritorno. «C`è un viavai interminabile, la gente di Marmoiada non ha mai creduto alla mia colpevolezza, è rimasta vicino alla mia famiglia. Io però non sono di grande compagnia. Mi sento frastornato, tutto è cambiato».
Come trascorreva le giornate in carcere? «Ho provato a tenermi in forma, ogni giorno facevo un po` di corsa. Mi sono diplomato all`istituto
artistico in carcere. Insieme a tre compagni detenuti abbiamo presentato un progetto sulle fontane di Spoleto e abbiamo vinto il primo premio. Quel giorno, per la premiazione, ci hanno concesso sette ore di libertà».
La vita fuori è spiazzante? «Un caro amico mi ha regalato un cellulare, non so
usarlo. Ce l`hanno tutti questo aggeggio, le persone si parlano guardando lo schermo. Devo rassegnarmi a usarlo». In carcere aveva accesso alla tecnologia? «A Spoleto avevamo il computer, ho imparato a scrivere e a usare diversi programmi. In carcere la connessione Internet è vietata, io non so
navigare. Abbiamo pubblicato un libretto dal titolo Cucinare in massima sicurezza. Dietro le sbarre impari ad arrangiarti: affetti la pancetta con la latta dei pelati, oppure gratti il formaggio con il fondo della bomboletta del gas. L`importante è tenere la mente attiva. La peggior cosa che puoi fare è sdraiarti sulla brandina per fissare il soffitto.
Ho visto detenuti che si sono automutilati, avvelenati, suicidati. A Spoleto avevamo sette ore d`aria al giorno, a Nuoro quattro al massimo. Il carcere sardo è più arretrato, siamo arrivati a stare in cinque in una cella a causa del sovraffollamento».
Com`è stata la convivenza con gli altri detenuti? «Dietro le sbarre incontri gente strana, da tenere alla larga. Quando vedevo persone pericolose o squilibrate, evitavo di rivolgere loro la parola, non davo confidenza. Ci sono molti tossicodipendenti che avrebbero bisogno di strutture diverse
da una prigione». Lei ha mai guardato in faccia i suoi accusatori? «Ho assistito alle udienze fino allo scorso anno, quando sono stato colpito da un malore in tribunale. A quel punto ho deciso di farne a meno. Sentire quel che dicevano sul mio conto mi faceva stare troppo male, sono arrivato a fumare due pacchetti di sigarette in un giorno». Ha intenzione di richiedere il
risarcimento per ingiusta detenzione? «Seguirò i consigli dei miei avvocati. Senza di loro e senza il sostegno della mia famiglia, in particolare di mia sorella Rita, non sarei sopravvissuto». Annalisa Chirico