MIGRANTI: L’Ue chiede conto all’Italia di 60mila migranti “spariti” (La Stampa)

LA STAMPA

 

L’Ue chiede conto all’Italia di 60mila migranti “spariti”

Entrati nel Paese ma mai identificati: “Violati gli accordi europei”. E l’Ungheria accusa Merkel: è lei la causa dei disordini nella Capitale

 

 

MARCO ZATTERIN

CORRISPONDENTE DA BRUXELLES

 

Ne mancano all’appello 63 mila. Sono i migranti che risultano ufficialmente entrati in Italia nei primi sette mesi di quest’anno di cui non c’è traccia sui registri di identificazione, la differenza fra i 92 mila accolti e i circa 30 mila registrati. Sono svaniti nel nulla o, facilmente, sono andati in Germania e Francia, i Paesi più richiesti dai disperati in fuga e quelli che più regolarmente contestano la relativa efficienza dell’attività alle nostre frontiere. Sono tanti, per essere fantasmi. Anzi, sono di più. Perché, rivela una fonte, «92 mila è un dato difettoso, mentre fra i 30 mila c’è chi è arrivato nel 2014».

La Commissione Ue ha scritto al governo Renzi per intimargli di far luce sui profughi spariti, sottolineando che la mancata raccolta dei dati dei migranti costituisce una violazione degli accordi europei.

Il cardine centrale della politica comune di immigrazione che si intende costruire è l’equilibrio fra solidarietà e responsabilità. In altre parole, si possono convincere tutti i Paesi a condividere gli oneri di un esodo che non ha precedenti recenti solo se c’è la certezza che ognuno faccia il proprio dovere. Il sospetto che l’Italia non fosse in linea era diffuso. I numeri messi di Bruxelles sono una triste conferma.

Roma deve chiarire la situazione, in fretta. Nel testo spedito dall’esecutivo – anticipato dal «Il Sole 24 Ore» e confermato da fonti governative – si chiedono ragguagli entro il 10 settembre. Data non casuale, questa. Se tutto andrà come previsto, martedì 8 la Commissione Ue metterà sul tavolo le sue proposte per rendere più efficace la risposta al fenomeno migratorio, con nuove regole per omogeneizzare il diritto d’asilo, la riforma del regolamento di Dublino (che impone l’obbligo di accoglienza al Paese di primo sbarco), il tentativo di introdurre un meccanismo di ripartizione d’emergenza, un’azione più concreta sui rimpatri. Poi, il 14 settembre, toccherà ai ministri degli Interni dare un senso a una risposta comune che non può più mancare.

Accuse incrociate

Sarà una riunione tesa. Domani sera il premier ungherese Viktor Orban viene a spiegarsi a Bruxelles, proprio dopo che il suo vice Janos Lazar, ha accusato la cancelliera Merkel del caos e dei disordini avvenuti alla stazione Keleti di Budapest. In un discorso in Parlamento ha riferito che i siriani chiedono di andare in Germania senza registrazione il che impedisce i controlli. Nessuno si fida di nessuno. «Gli ungheresi hanno il muro al confine serbo, ma lasciano passare chi arriva da Slovenia e Romania perché non compete loro», suggerisce una fonte Ue.

Frontiere nel mirino

Mettere a posto la situazione alle frontiere – italiana e non solo – diventa condizione necessaria per ricreare la fiducia che occorre per poter andare avanti nell’impresa. «Da Roma vogliamo che non si perda altro tempo con gli hotspot», ammette una fonte comunitaria. È un punto centrale. Il modello francese dei centri di accoglienza, dove l’attività di controllo si svolgerebbe con l’ausilio di personale Ue, presuppone l’organizzazione di luoghi vigilati in cui ospitare chi arriva sino alla fine del processo di identificazione. Difficilissimo, per l’Italia.

I motivi sono molteplici. Il primo è che i centri dovrebbero essere chiusi (i nostri non lo sono) e il processo dovrebbe essere rapido (un dossier richiede in media 5 mesi). Ci vogliono soldi. E bisognerebbe correggere la prassi secondo cui, una volta in Sicilia, un senegalese e un siriano sono la stessa cosa. Purtroppo no. Salvo eccezione, uno è un migrante economico e l’altro un potenziale asilante. Con l’elenco dei Paese sicuri, che da noi non c’è, si avrebbe avere un iter più rapido.

 

 

 

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