AVVENIRE
Minori, affido senza controlli
Tribunali dei minorenni con carenze di organico, servizi sociali sempre più aleatori per motivi economici, strutture di controllo rese meno tempestive dall’accavallarsi delle competenze. Una situazione che abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene. Ma è possibile che queste difficoltà oggettive abbiano finito per innescare qualche situazione spiacevole sul fronte della gestione dei minori costretti a vivere fuori dalla famiglia? Possibile che si sia creato qualche collegamento non virtuoso tra operatori di servizi sociali e responsabili di alcune comunità di accoglienza? Casi probabilmente limitati, d’accordo, ma sufficienti a far nascere qualche timore in chi opera da anni sul delicato fronte dei minori allontanati dalle famiglie.
Nei giorni scorsi avevamo dato conto della vicenda di Lofti Manai e della moglie Saida Louti, una coppia tunisina regolare a cui il Tribunale dei minori di Brescia, per supposte inadeguatezze educative, ha sottratto sei degli otto figli. Una scelta opportuna? Possibile che non si potessero trovare altre strade per risolvere la situazione senza infliggere alla famiglia una punizione così pesante? L’avvocato Giuseppina Coppolino, che da tre anni si batte al fianco della coppia tunisina, è convinta che la vicenda non sia isolata. Una breve indagine condotta presso il Consolato tunisino di Milano ha permesso di accertare che sarebbero almeno una trentina le famiglie di quel Paese residenti in Lombardia vittime di procedimenti giudiziari conclusi con l’allontanamento dei figli. La vicenda che raccontiamo qui sotto, pur diversa nelle cause e nello sviluppo, sarebbe significativa comunque di una certa tendenza giudiziaria. E le stessa situazione sembrerebbe abbastanza frequente anche per famiglie immigrate di altre nazionalità.
Tutti genitori inadeguati? Esigenza reali per proteggere i minori da parte dei tribunali? Marco Giordano, responsabile del Tavolo nazionale affido, non esclude che ci possano essere situazioni poco chiare, ma invita comunque a considerare il problema da altri punti di vista. Innanzi tutto i controlli sulle Comunità per i minorenni ci sono. O ci dovrebbero essere. Le procure minorili sono chiamate a realizzarli ogni sei mesi in accordo con Comuni, Asl e Regioni. «Certo – osserva Giordano – rafforzare questi controlli in modo più accurato sarebbe doveroso, ma il problema è l’organo di controllo competente. Visto che gli enti locali autorizzati sono diversi, c’è il rischio che le verifiche alla fine non siano mai abbastanza efficaci».
Forse, tra le modifiche allo studio in vista della discussione sulla nuova legge per adozioni e affido, non sarebbe male inserire anche questo provvedimento. Si tratta del resto di una delle richieste avanzate dal consorzio ‘#5buone ragioni per proteggere i bambini’ (vedi box in questa pagina). A parere di Giordano, che tra l’altro è genitore affidatario, ciò che rende poco credibile un collegamento sospetto tra operatori dei servizi sociali e comunità d’accoglienza, rimane però il dato economico. La spesa necessaria per affidare un bambino senza famiglia a una comunità d’accoglienza è più o meno simile rispetto alla scelta della famiglia affidataria. I dati parlano chiaro. Secondo i calcoli presentati lo scorso anno da Liviana Marelli del Cnca, i costi a carico dei Comuni per mantenere un minore in comunità variano da 125 a 151 euro al giorno. I pagamenti avvengono a fronte di presentazione di regolare fat- ture sulla base della rendicontazione delle presenze. Controlli puntuali – sempre che vengano eseguiti – dovrebbero insomma bastare a fugare ogni dubbio.
Quanto costa invece allo Stato un bambino assegnato a una famiglia affidataria? La cifra concessa dai Comuni (almeno quelli che hanno in bilancio questa voce) ai nuclei familiari accoglienti si aggira sui 400 euro mensili, circa 15 euro al giorno. Un risparmio notevole quindi rispetto alla cifra versata alle Comunità? «Niente affatto – riprende il responsabile del Tavolo nazionale affido – perché la famiglia affidataria non può essere lasciata sola. I Comuni devono dotarsi di un Servizio affidi, con competenze specifiche (psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, ecc), in grado di accompagnare le famiglie e di intervenire quando si presentano (e si presentano sempre) difficoltà e problemi». Una struttura del genere ha costi non indifferenti, tali in ogni caso da bilanciare il costo pro capite dei minori che vivono in comunità. Ma senza un Servizio affidi ben strutturato e articolato sul territorio, l’affido non decolla. Anzi arretra. La prova? A Torino, dove tradizionalmente i servizi sociali sono di prim’ordine, ci sono un migliaio di famiglie affidatarie.
A Napoli, dove il Comune rimborsa le famiglie e le comunità dopo due anni – quando le rimborsa – si tratta di un istituto quasi al lumicino. Insomma una situazione complessa, aggravata dalle sempre più allarmanti carenze economiche di servizi territoriali e Tribunali. «Forse per fugare ogni sospetto sugli allontanamenti decisi dai tribunali nei confronti di minori immigrati – conclude Marco Giordano – basterebbe dotare i servizi sociali di strutture per la mediazione culturale, in grado di far comprendere le differenze tra i nostri modelli educativi e quelli di famiglie provenienti dall’Africa o dalla Cina». Ma anche in questo caso bisogna fare i conti con bilanci sempre più magri, che non permettono di aggiungere nuovi servizi a quelli già esistenti. Così anche l’operato dei tribunali per i minori, dei servizi sociali e delle comunità, non solo rischia talvolta di innescare situazioni poco chiare, ma continua a rappresentare un ulteriore ostacolo sulla strada dell’integrazione. Luciano Moia