DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE STP
L’avvocatura evidenzia la necessità di ripristinare un dialogo diretto ed immediato con l’unico interlocutore in grado di comprenderne le reali esigenze: il Ministro della Giustizia, poiché l’inserimento della disciplina del modello societario tra avvocati all’interno di un testo normativo omnibus, come il DDL Concorrenza, che si propone (a norma dell’Art. 47 della L. 23 luglio 2009 n. 99) di “rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della Concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori” ha comportato, come necessario corollario, che l’interlocutore della avvocatura sia non più il Ministro della Giustizia ma il Ministero dello Sviluppo Economico.
Il ddl eliminerebbe la riserva di consulenza in favore degli avvocati e dei liberi professionisti, aprendo le porte anche ad altri soggetti e, soprattutto, anche a società commerciali.
Proprio riguardo queste ultime, potrebbe essere demandata la consulenza legale anche ad una società cui non partecipino né avvocati ne’professionisti.
Non sarebbe garantito, quindi, in alcun modo, il diritto ad avere una consulenza indipendente, retta da principi di deontologia, professionalità e garanzia di competenza, lasciando spazio ad attività mosse da obiettivi di puro lucro.
Il ddl si pone, come obiettivo dichiarato, la maggior concorrenzialità nell’ambito della professione forense: e’ indubbio che la concorrenza, in quanto stimolo al miglioramento della prestazione professionale in favore del cliente, è nell’interesse primario degli avvocati stessi.
Per quanto attiene al profilo societario, il ddl modifica le norme previste all’art.4 dell’ordinamento per l’attività in forma associata, integrando il medesimo articolo con norme riguardanti l’attività in forma societaria. Con ciò viene sostanzialmente abrogato l’art.5 e vengono eliminati i principi di garanzia che tale articolo poneva per l’emanazione del regolamento specifico sulle società tra avvocati.
La previsione di una specifica normativa riguardante la società tra avvocati aveva una sua precisa ragion d’essere, ergo non ci si può non rammaricare che il governo non abbia emanato il previsto regolamento e si auspica un revirement in tale direzione.
La possibilità per gli avvocati di svolgere la loro attività in forme associate o societarie e multidisciplinare è senz’altro ritenuta utile dall’avvocatura tutta, in quanto favorisce la possibilità di garantire consulenza completa, specializzazione, miglior organizzazione dell’attività degli studi e riduzione dei costi.
Quindi la previsione e l’inquadramento normativo di forme societarie possono stimolare e agevolare la costituzione di forme associative tra avvocati con effetti positivi.
La presenza di soci di puro capitale, invece, può portare alla creazione di oligopoli e quindi nuocere sensibilmente proprio alla concorrenza, creando inoltre lesione dell’indipendenza, dell’assistenza professionale fino al limite di consentire la partecipazione di interessi criminali.
Sotto altro profilo la partecipazione di un medesimo soggetto a più società potrebbe essere fattore contrario proprio a quella corretta e libera concorrenza che il DDL non intende favorire.
Alla luce di queste considerazioni, l’art. 26 del DDL Concorrenza, nella parte in cui sembrerebbe introdurre un nuovo modello societario per l’esercizio della professione forense va profondamente ripensato, fermo restando che, come dimostrato dalla mozione n. 51 del Congresso Nazionale di Venezia, l’avvocatura non nutre alcun pregiudizio contro le società tra avvocati.
Risulta infine necessario un preciso coordinamento con la normativa previdenziale e fiscale in modo che la costituzione di società sia fondata su una normativa semplice e di agevole applicazione e da un inquadramento previdenziale che rispetti la partecipazione alla Cassa Forense.
Commissione STP OUA
Firenze, 27 marzo 2015