LIBERO
Renzi e Napolitano processano i pm
Il premier accusa: «I magistrati devono parlare con le sentenze, però arrivino in fretta». Durissimo l`ex capo dello Stato: «C`è chi ha pagato un prezzo altissimo al giustizialismo, il mio consigliere ci ha rimesso la pelle»
ROMA. Arrivi al Senato con la sensazione che, anche stavolta, non succederà nulla. «Non ci credete neanche voi», sfotte Matteo Renzi, rivolto alle opposizioni, firmatane di una mozione di sfiducia, l`ennesima, presentata all`indomani del caso Guidi per provare a schiodare il fondoschiena del
fiorentino dalla poltrona governativa. In effetti Renzi non ha tutti i torti. Questa cosa della sfiducia a cadenza settimanale sta diventando un rituale
un po` stanco. Quasi un favore, perché dà all`esecutivo la possibilità di sottoporre la propria maggioranza a un tagliando costante. In assenza di novità nelle geometrie della coalizione, Renzi surfa, onda più onda meno, al di sopra del livello del galleggiamento.
La spinta emozionale arrivata dalle inchieste della procura di Potenza (con la diffusione delle conversazioni tra l`ex ministra Guidi e il compagno)
ha perso di intensità. Nel frattempo l`attenzione si è spostata sul referendum e il capo del governo sembra aver superato anche questa turbolenza
giudiziaria. Sembra, perché Renzi rimane un funambolo sulla corda. E deve dire grazie ai senatori di Verdini e agli assenti dell`opposizione (la prima
mozione è respinta con 183 contrari e 96 favorevoli), se in serata può salutare tutti e partire per New York. Come al solito, Matteo risponde alle difficoltà attaccando. Imputa alle opposizioni di fare «sceneggiate», dice che «l`Italia è
altrove». Le sfida: «Provate a mandarci a casa. Non ci credete neanche voi, vi basta una bandierina da sventolare in tv. A questo serve la vostra richiesta
di sfiducia». Renzi prende di mira Forza Italia: il premier non si sente un abusivo a Palazzo Chigi, è «tutto nel rispetto della Costituzione» e di uno «schema» che è stato alla base del «vostro sostegno al governo Letta», venuto meno in base a «valutazioni del vostro capo di partito». È Silvio Berlusconi che ha cambiato idea. Dunque Ala e Ncd sono dalla parte della ragione, il Cav siede dalla parte del torto. Poi tocca alle toghe. Il “rottamatore” non si fa mettere sulla graticola: «I giudici devono parlare con le sentenze, ma queste devono arrivare presto».
Un avviso di garanzia non è «una condanna» e «io», spiega Renzi, «sono per la giustizia non per i giustizialisti». Matteo ricorda Tangentopoli: «Negli ultimi 25 anni l`avviso di garanzia è stato una sentenza mediatica definitiva, vite di persone perbene sono state distrutte». Il premier punta il dito contro i Cinquestelle («Non chiederò le dimissioni del vostro consigliere indagato a Livorno») e difende la correttezza dell`esecutivo nel caso di Tempa Rossa: «La befana vien di notte, non gli emendamenti». Lo sblocco di quel giacimento è stato «discusso e approvato alla luce del giorno». Occhio a lanciare sfide sulla «moralità politica», si rivolge adesso agli azzurri, «perché è un tema scivoloso». Però una lezione Matteo l`ha imparata. Il telefono scotta. E allora meglio privilegiare la messaggistica epistolare. Renzi manda un pizzino a Gabriele Albertini («Bell`intervento, bravo!») e poi passa un foglietto ad Angelino Alfano, che sta per incontrare il capogruppo del Ppe
Weber. Un caffè e una spremuta. Poi, terminata la replica, Renzi si dilegua perdendosi le dichiarazioni di voto. «Lei è il Marchese del Grillo», attacca
Gasparri, trovando un parallelismo tra «l`io sono io» di Alberto Sordi e il superego renziano. «Dottor Renzi», dice Centinaio (Lega), «il suo è stato
un “pippone” di 40 minuti». A difesa del premier (di nuovo) Giorgio Napolitano, che attacca la «manipolazione» delle intercettazioni e ricorda
il suo amico D`Ambrosio, «vittima del giustizialismo, ci ha rimesso la nelle».
SALVATORE DAMA