IL SOLE 24 ORE
Per la categoria e l’economia reale
di Renzo Guffanti – Presidente Cnpadc
È quanto mai opportuno ricordare che al momento della privatizzazione, che fa data a partire dal 1° gennaio 1995, gli effetti della generosità insita nella legge 21/1986 si stavano sviluppando con la massima virulenza, e rischiavano di spingere la Cnpadc verso una sorta di emorragia, una falla nel sistema, che se non fosse stata tamponata nei modi e nei tempi giusti avrebbe potuto provocare danni strutturali irreparabili, fino al ribaltamento dello “scafo” su cui oggi invece navigano serene le pensioni dei Dottori Commercialisti. Spiegare quello che sarebbe potuto accadere al nostro sistema previdenziale, una volta abbandonata l’ancora pubblica, è ancora più semplice se accompagniamo le parole con qualche numero, al posto che ricorrere a metafore.
Parliamo, infatti, di un andamento patrimoniale alla deriva che, come da previsioni ante correzioni, mostrava il suo azzeramento nell’anno 2031, e che sarebbe arrivato a un valore negativo per più di 15 miliardi di euro nel 2040.
Sono cifre importanti, che avrebbero impedito al sistema di funzionare, e di onorare le promesse previdenziali fatte durante questo percorso, in cui si è assistito alle profonde trasformazioni del primo pilastro previdenziale, e al solco riformatore in cui sono state incanalate.
In fondo, a metà degli anni ’90 era chiaro che se la stessa previdenza pubblica necessitava di riprogrammare il proprio modello previdenziale – la “riforma Dini” e le correzioni successive sono un esempio – si sarebbe dovuto prima o poi intervenire anche sulle Casse professionali che avevano fino a lì condiviso un percorso molto simile.
Non era infatti realistico poter pensare di rispettare gli impegni previdenziali assunti, o da assumere, nei confronti dei propri iscritti, applicando un modello pensionistico tarato su prestazioni promesse molto elevate e contributi futuri insufficienti a renderlo sostenibile nel lungo periodo.
La “certificazione” attuariale ripetutamente ricevuta negli ultimi anni conferma invece che la Cassa ha adottato per tempo riforme che non erano più rinviabili, e ha provveduto a far fronte alle anomalie strutturali del proprio sistema previdenziale.
Verso un welfare flessibile ed efficiente
Si è trattato di un primo step a vantaggio di tutta la categoria, che ha consentito la costruzione di un disegno previdenziale più solido e soprattutto più flessibile, capace di adattarsi alle esigenze specifiche dei Dottori Commercialisti, che spaziano da quelle che mettono al centro dell’attenzione le aspettative previdenziali di lungo periodo a quelle, non meno importanti, sia pur di breve respiro, generate da situazioni di disagio specifiche.
La riforma del 2004 ha messo la Cnpadc nelle condizioni migliori per operare affinamenti successivi in tema di adeguatezza delle prestazioni, da un lato, ampliando il valore atteso delle prestazioni in particolare favore di chi ha dovuto sostenere l’onere maggiore di una riforma strutturale che ha inciso in modo significativo sui tassi di sostituzione previsti.
Affermato il concetto che la funzione assistenziale non possa rimanere marginale rispetto alla funzione primaria dell’Ente, sono state messe in campo iniziative trasversali che hanno inciso sui requisiti di accesso alle prestazioni, sull’ammontare dei contributi e, infine, sull’ampliamento dei “servizi” offerti, con la speranza di poter stanziare in futuro altri fondi, al fine di allargare il “secondo” welfare di categoria.
Di sicuro c’è ancora spazio per intervenire sulle prestazioni, quanto meno liberando risorse attraverso l’ulteriore riconoscimento sul montante individuale degli iscritti del cospicuo ammontare – oltre 50 milioni nel 2015 – di extra rendimenti prodotti da una gestione oculata e strategica del patrimonio della Cassa.
Risorse per il Paese e le future pensioni
Proprio i rendimenti ottenuti dagli investimenti diventano uno spartiacque fondamentale per il futuro previdenziale dei nostri professionisti, un futuro che richiede una previdenza capace di investire bene, per generare nuovo reddito a vantaggio degli associati.
Nonostante gli interessi della Cassa siano innanzitutto rivolti a una specifica categoria, ancora una volta rilanciamo con forza l’impegno come Dottori Commercialisti a voler investire di più nella economia reale, per immettere liquidità in settori strategici del nostro Paese.
Scommettendo su logistica, infrastrutture, imprese, i nostri fondi diventano parte attiva nel rilancio dell’economia italiana, e molto di più si potrebbe fare se soltanto non fossimo penalizzati da miopi scelte di politica fiscale, o dal pressante bisogno di entrate per finanziare spesa corrente.
Pur comprendendo le difficoltà del momento, se vogliamo pensare di garantire un’adeguata copertura previdenziale alla nostra categoria, riteniamo giusto che anche lo Stato, d’altro canto, faccia la sua parte.
Quello che oggi ci limita nel nostro sforzo di crescere, di trovare spazi di manovra alternativi e di lavorare con serenità per il futuro della nostra previdenza deriva in primo luogo da una penalizzazione accentuata sul fronte della tassazione, che ha investito negli ultimi anni la previdenza professionale, i cui attivi patrimoniali sono troppo spesso assimilati a quelli gestiti da speculatori e capitalisti privati.
Noi rifiutiamo questa etichetta, e ribadiamo il nostro ruolo di custodi di risparmio previdenziale che operano con l’obiettivo di far rendere il patrimonio accumulato a vantaggio degli attuali e futuri pensionati, nel pieno rispetto delle funzioni previste dall’articolo 38 della Costituzione. Per questo viviamo come una evidente ingiustizia, e inutile penalizzazione, ogni incremento della pressione fiscale, che comporta una proporzionale riduzione dei tassi di capitalizzazione dei montanti pensionistici degli iscritti e, quindi, delle prestazioni da loro attese.
Siamo pronti a rilanciare il nostro impegno nell’investire in progetti funzionali alla crescita, alleggerendo l’impegno pubblico nei settori strategici per il rilancio dell’economia del Paese, a fronte di una tassazione più “europea” del risparmio previdenziale dei liberi professionisti, in un rinnovato quadro normativo e relazionale, che tenga nella giusta, e meritata, considerazione quanto di positivo è già stato realizzato negli ultimi venti anni.