ITALIA OGGI SETTE
Il correttivo sulla trasparenza amministrativa. Tutela solo apparente
Privacy messa all’angolo
Copia di atti dovuta senza bisogno di ragioni
lun.20 – Il correttivo sulla trasparenza amministrativa seppellisce la privacy dei cittadini.
La nuova disciplina dell’accesso civico, portata dal decreto legislativo 97/2016, consente di avere conoscenza di dati e copia di documenti senza dovere dare spiegazioni specifiche sulle ragioni della richiesta. E anche se il decreto legislativo costruisce una procedura con la quale il soggetto, cui si riferiscono i dati, può presentare opposizione, si tratta di una tutela solo apparente.
Sulla carta bisognerebbe fare un bilanciamento di interessi: su un piatto della bilancia la riservatezza e sull’altro l’interesse proprio di chi chiede dati e documenti. Ma questo bilanciamento è impossibile, perché per fare il confronto occorre avere i due dati da confrontare. Se, invece, chi chiede dati e informazioni, per legge, non deve dichiarare l’interesse perseguito, manca un termine per fare la valutazione comparata.
Sembrerebbe, dunque, che non ci sia via d’uscita nelle disposizioni intrinsecamente inapplicabili.
Uno spiraglio potrebbe essere il rinvio a linee guida dell’Autorità anticorruzione (Anac), che dovranno indicare quando prevale la privacy e quando, invece, prevale l’accesso. A questo punto si deve concludere che il livello di garanzia della privacy dei cittadini è affidato non alla legge e neppure al garante della privacy, ma a provvedimenti (di rango amministrativo e non normativo) dell’Anac; correndo comunque il rischio che l’Anac non disciplini tutti i possibili casi.
Ma spieghiamo con ordine.
Il decreto legislativo 97/2016 riformula l’accesso civico. Se prima era solo un mezzo per ottenere la pubblicazione sul sito internet dei singoli enti degli atti che per legge dovevano essere pubblicati, ora diventa lo strumento per ottenere da qualunque p.a. da parte di chiunque tutti i dati e documenti detenuti dall’ente pubblico.
Ad esempio si può chiedere a un comune l’elenco dei titoli edilizi o copia dei contratti di convivenza o l’elenco delle associazioni che hanno ricevuto contributi o di chi ha pagato un certo tributo ecc. Le possibilità sono infinite.
Il decreto 97/2016 sembra subordinare l’accesso civico a limiti oltre che di interesse pubblico, anche di interesse privato, tra cui la riservatezza delle persone.
Peraltro la formulazione della disciplina di tutela è così farraginosa da autoannullarsi.
La tutela della riservatezza blocca, infatti, l’accesso civico solo quando ciò risulta «necessario» per evitare un pregiudizio «concreto» alla tutela della protezione dei dati personali e comunque «in conformità con la disciplina legislativa in materia».
Non è sufficiente che l’interessato si opponga. In effetti la norma in commento prevede che se l’amministrazione individua controinteressati deve dare loro avviso della richiesta di accesso. Il controinteressato (potenzialmente leso nella sua privacy) può presentare una motivata opposizione, che non è vincolante. La p.a. deve, infatti, decidere sulla richiesta di accesso tenendo conto dell’opposizione, ma senza che questa la obblighi a un rigetto dell’istanza di accesso civico. Tra l’altro l’onere economico per la p.a. degli avvisi ai controinteressati cresce con il numero degli stessi controinteressati. Se si tratta di centinaia o migliaia di persone, le cifre lievitano.
Tornando al bilanciamento tra privacy e accesso civico, la p.a. deve valutare se i singoli subiscano (per effetto del rilascio dati e copie) un pregiudizio concreto e se il diniego sia necessario per evitare il danno.
Si tratta di concetti molto vaghi, lasciati alla discrezionalità dei singoli funzionari. E questi ultimi non hanno parametri per esercitare la discrezionalità. Si noti che la norma non permette di comparare la situazione di chi chiede dati rispetto a coloro cui i dati si riferiscano. Con il rischio che qualche p.a. ritenga necessario il diniego (e quindi niente accesso) in casi in cui altre omologhe p.a. arrivano alla conclusione diversa (e quindi addio alla privacy).
Certo il decreto prevede che, ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico, l’Autorità nazionale anticorruzione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata, adotta linee guida recanti indicazioni operative. Ci si chiede quanto tali indicazioni siano cogenti o solo un semplice consiglio. Antonio Ciccia Messina