IL SOLE 24 ORE
Privacy, staffetta Italia-Europa
Il nuovo regolamento europeo sostituisce dopo vent’anni le norme nazionali
Lun.9 – Maggio è il mese odoroso cantato da Leopardi, ma, più prosaicamente, anche quello della privacy. Tutto è accaduto a maggio. Diciannove anni fa, di questi giorni – esattamente l’8 maggio – faceva il suo debutto la prima legge italiana sulla tutela dei dati personali, che in realtà quest’anno compie venti anni, perché ha visto la luce nel 1996. Portava il numero 675 e come la sua “sorella minore” – la legge 676 dello stesso anno, che dava al Governo la possibilità di intervenire per correggere o integrare la prima – prendeva spunto da un input europeo. Era stata, infatti, la direttiva 95/46 a dire a ogni Paese della Ue di recepire le norme a protezione della privacy.
Ed è sempre l’Europa a ritornare in questi giorni sull’argomento per aggiornare in modo significativo quanto dettato nel 1995 e recepito dal nostro Paese l’anno successivo. Al termine di un sofferto e lungo iter legislativo, la Ue ha riscritto le regole sulla privacy. Lo ha fatto con il regolamento 2016/679, pubblicato qualche giorno fa sulla Guce, la Gazzetta dell’Unione. La nuova normativa entrerà in vigore il 24 maggio e non avrà bisogno di recepimento. Ci sarà solo un biennio di interregno, durante il quale i Paesi membri sceglieranno come adeguarsi e in che modo inglobare il nuovo provvedimento nelle leggi nazionali. Il 25 maggio 2018, il regolamento diventerà operativo in tutta la Ue, soppiantando le disposizioni interne di ciascuno Stato che si sovrappongono alle nuove regole. Nel nostro caso, a farne le spese sarà il Codice della privacy (il decreto legislativo 196/2003).
Ma non si tratta dell’unica novità in materia di riservatezza personale arrivata in questo maggio. Nella stessa Gazzetta che ha ospitato il regolamento sono state, infatti, pubblicate anche due direttive: la prima sulla tutela dei dati personali nell’ambito delle attività investigative e un’altra sulla banca dati del Pnr (il Passenger name record), cioè le informazioni (per esempio, la data del viaggio, i recapiti telefonici, la mail, l’itinerario, le modalità di pagamento, il posto assegnato, il tipo di bagaglio) di chi vola da e per l’Europa.
Sempre di privacy, dunque, si parla. Per quanto in quest’ultimo caso – a differenza del regolamento e della prima direttiva – più che di protezione dei dati, si tratta di “intrusione” nelle informazioni personali, della loro raccolta massiva nel nome della lotta al terrorismo. Ci sono voluti anni per arrivarci, ma le recenti vicende francesi e belghe hanno spazzato via le ultime resistenze.
È sempre l’urgenza della contemporaneità a scrivere l’agenda della privacy dei nostri giorni: gli attentati hanno costretto al Pnr, le nuove tecnologie e internet hanno dettato il nuovo regolamento. Nell’epoca di Google e Facebook occorrono misure comuni di protezione dei dati. Serve una disciplina «uniforme e armonizzata tra tutti gli Stati membri» che elimini – ha commentato il Garante italiano Antonello Soro – «le numerose asimmetrie che si erano create nel tempo».
Per quanto la matrice fosse la stessa – la direttiva 95/46 – ogni Paese l’aveva, infatti, declinata e applicata a modo proprio. Una frammentazione di norme che pure non ha ostacolato il formarsi di una coscienza collettiva del valore delle nostre informazioni personali.
È quanto accaduto nel quasi ventennio di privacy italiana. Quando la legge 675 fece capolino, la convinzione diffusa era che “privacy” fosse uno sfoggio per dire altrimenti “riservatezza”. Niente molto di più. A partire da quell’8 maggio di tanti anni fa, la consapevolezza dell’importanza delle informazioni personali è pian piano cresciuta. Anche grazie al lavoro del Garante. Una rilevazione del Censis del 2013 ha registrato che il 96% dei cittadini ritiene la riservatezza un diritto inviolabile e il 93% teme di veder attaccata la propria privacy online. Preoccupazione che si accompagna a una richiesta di regole di protezione più stringenti (lo chiede il 53% degli intervistati).
Il nuovo regolamento risponde a queste esigenze: disposizioni comuni per dare ai cittadini maggiori tutele e alle imprese più facilità nell’applicarle. Uno strumento più efficace per difendersi, per esempio, da chi ci chiede un consenso indifferenziato all’uso dei nostri dati come condizione per accedere a un servizio. Accade sempre più spesso online. Ora, però, grazie al regolamento, si può invocare anche il diritto all’oblio, ovvero chiedere e ottenere la cancellazione dei nostri dati. Il passaggio di testimone è appena iniziato. Antonello Cherchi