IL SOLE 24 ORE
Procedure concorsuali. Per fallimenti ed esecuzioni immobiliari tempi ancora lunghi – Il progetto di testo unico dell’insolvenza
Più veloce il recupero dei crediti
Dom.25 – Courmayeur. Un anno in meno per il recupero dei crediti con l’utilizzo del patto marciano. Sono queste le prime stime fatte dall’Abi dopo l’entrata in vigore del nuovo strumento per accelerare i tempi dell’esecuzione immobiliare. Primi segnali che possono anche fare risultare credibile quanto affermato al Senato a maggio dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Padoan allora ritenne possibile un abbassamento da 40 a 7-8 mesi per l’impossessamento del bene immobile da parte del creditore.
Il nodo dei tempi
Il dato è emerso al convegno del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale insieme a Fondazione Courmayeur dedicato a «Le procedure concorsuali verso la riforma tra diritto italiano e diritto europeo». A segnalare una prima riduzione dei tempi e l’interesse per il nuovo istituto è stato Giovanni Staiano, responsabile Ufficio affari legali dell’Abi, che ha sottolineato come si sarebbe potuto rendere più incisivo l’impatto del patto marciano sullo stock di non performing loans se se ne fosse permessa un’applicazione retroattiva.
E i 200 miliardi di sofferenze lorde che zavorrano le banche italiane sarebbero assai di meno, ha sottolineato il presidente di Assonime Maurizio Sella, se non ci fosse il gap della durata delle procedure fallimentari. Eccessiva lunghezza che conduce, ha ricordato Sella, a un progressivo depauperamento del patrimonio del debitore. Tutte le fonti, da quelle nazionali (ministero della Giustizia), a quelle internazionali (Ocse, Doing Business), mettono in evidenza la differenza profonda in termini di tempo per il recupero dei crediti che caratterizza il sistema italiano, deprimendone anche la capacità attrattiva di investimenti dall’estero. I dati più recenti del ministero della Giustizia, relativi ai primi 6 mesi del 2015, fotografano in 7,2 anni la giacenza media dei fallimenti e in 4,4 quella delle esecuzioni immobiliari. E di anni ce ne vorrebbero 9, in assenza di nuovi procedimenti, per smaltire i soli fallimenti pendenti.
Le cause
Allarme rosso allora. Non si può non riconoscerlo, ha ammesso Alida Paluchowski, presidente della Sezione fallimentare del tribunale di Milano. Che ha spiegato come si sia a questo punto per una pluralità di ragioni: innanzitutto la natura del nostro ordinamento, ipergarantista, dove è più che mai vera la considerazione per cui all’aumento delle garanzie cresce anche la durata dei procedimenti. Un esempio? Paluchowski lo trae dalla cronaca del suo lavoro: le migliaia di opposizioni, spesso senza chance di accoglimento, allo stato passivo dell’Ilva. Con ciascuna opposizione, però, che deve essere esaminata dai (pochi) giudici della Sezione. Meglio una misura drastica come quella che potrebbe impedire l’opposizione quando non ci sono speranze di successo.
Ad allungare ancora di più i tempi, ha ricordato Paluchowski, c’è tutta una serie di giudizi “accessori”, da quelli di responsabilità alla fase esecutiva. Se si potesse fare come negli Usa, dove i fallimenti si chiudono con l’accertamento del passivo, le cose cambierebbero. Da noi invece si mettono in piedi i tavoli dei “volenterosi” come da ultimo quello tra Entrate e magistrati di Milano, Roma e Napoli per affrontare i nodi della chiusura del fallimento per ripartizione dell’attivo.
Il testo unico dell’insolvenza
Il convegno ha rappresentato anche l’occasione per fare il punto sul progetto Rordorf di un testo unico dell’insolvenza con Antonio Matonti, responsabile Affari legislativi di Confindustria che, nel suo intervento, ha ritenuto opportuna una presa d’atto del cattivo uso fatto da imprese, banche e professionisti degli ampi spazi lasciati all’autonomia privata dalla riforma Vietti. E allora, ha distinto Matonti, una volta scollinato il crinale dell’insolvenza irreversibile, l’autorità giudiziaria non può che essere il regolatore e bisogna ottimizzare i tempi e minimizzare i costi. Discorso diverso quando l’impresa è in crisi, ma non ancora insolvente. Allora possono certo soccorrere le procedure di allerta, tra le principali novità della legge delega in discussione alla Camera. Procedure di allerta, di cui però a Matonti non piace lo sbocco giudiziale per l’imprenditore che non si muove tempestivamente. Una previsione, inserita non nella versione licenziata dalla commissione Rordorf ma dallo stesso ministero della Giustizia, che rischia di compromettere il successo dello strumento, inducendo l’imprenditore a ritardare il più possibile l’emersione della crisi.
Altro punto critico delle procedure di allerta è lo spazio lasciato alle segnalazioni dei creditori istituzionali che potrebbero avere la conseguenza di metterli in una posizione ancora più favorevole rispetto ai fornitori. E Michele Vietti ha replicato che non basta la condivisibile inadeguatezza dell’applicazione degli spazi di autonomia privata per ribaltare l’impostazione degli istituti. In questo senso e anche per le modalità con le quali è stata introdotta (dalla Giustizia, senza che il progetto Rordorf l’avesse prevista) anche la valutazione del giudice sulla realizzabilità economica del concordato non convince. Giovanni Negri