PROCESSO CIVILE: La proposta del giudice può risolvere la controversia (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

La proposta del giudice può risolvere la controversia

Anche dal giudice può arrivare l’input per un accordo bonario fra le parti in lite. L’articolo 185-bis del Codice di procedura civile prevede, infatti, che il magistrato possa formulare, alla prima udienza ma anche «sino a quando è esaurita l’istruzione», una proposta transattiva o conciliativa. Tale progetto di accordo va avanzato «ove possibile», e cioè solo quando lo consentano la «natura del giudizio», il «valore della controversia» e «l’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto». Ma se le parti non aderiscono alla proposta, il giudice, conclude l’articolo 185-bis, non potrà essere ricusato né chiedere di astenersi dal decidere la causa.
L’articolo 185-bis è stato introdotto nel Codice dal Dl 69/2013 (come modificato dalla legge di conversione 98/2013) e la relativa disciplina, trattandosi di norma processuale, è applicabile anche ai processi già pendenti al momento della sua entrata in vigore (tra i vari provvedimenti si veda il decreto 26 giugno 2013 del Tribunale di Milano).
Ma quale può essere il contenuto della proposta? Secondo il Tribunale di Roma (ordinanza 1° febbraio 2016), il giudice si deve avvicinare «quanto più possibile a quella che sarebbe una sentenza allo stato degli atti», variandone l’esito «con prudenti integrazioni e correttivi, ispirati dall’equità»; dovrebbe, inoltre, prospettare a ciascuna parte il possibile vantaggio ricavabile dall’accordo.
L’articolo 185-bis del Codice di procedura civile non prevede che la proposta elaborata dal giudice debba essere motivata. Il che ha una precisa logica: la motivazione dei provvedimenti è funzionale alla loro impugnazione, mentre la proposta transattiva non ha natura decisionale e non è impugnabile. Tuttavia, per offrire alle parti utili elementi di valutazione sul contenuto della proposta stessa e sull’opportunità di accettarla, il giudice può indicare le direttrici fondamentali del proprio ragionamento. In questo senso si è più volte espresso il Tribunale di Roma (ordinanza del 30 settembre 2013).
Il Codice di procedura indica l’esaurimento dell’istruzione quale momento finale per la proposta. Tuttavia, secondo il Tribunale di Fermo (ordinanza 21 novembre 2013), il giudice può prospettare alle parti un’ipotesi di accordo conciliativo anche quando la controversia è già stata posta in decisione, rimettendo la causa sul ruolo a questo fine. Quest’ampia interpretazione della norma si potrebbe fondare, fra l’altro, sui vantaggi che derivano alle parti dalla composizione della lite in via transattiva, a cominciare dal fatto che viene bloccata la possibilità di prolungare la durata del processo in ulteriori gradi di giudizio. Il Tribunale di Caltanissetta (ordinanza 20 gennaio 2016) è invece giunto a conclusioni opposte, ritenendo che un’eventuale proposta conciliativa formulata dopo la chiusura della fase istruttoria costituirebbe un’anticipazione di giudizio.
L’articolo 185-bis Codice di rito non indica le conseguenze del rifiuto di aderire all’accordo ipotizzato dal giudice. Tuttavia, l’articolo 91 dello stesso Codice contiene una sorta di sanzione nei confronti della parte la cui domanda sia stata accolta «in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa». In questo caso, infatti, il giudice «condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta» stessa, salvo quanto disposto dal comma 2 del successivo articolo 92. Resta ferma, cioè, la possibilità che il giudice compensi le spese di lite («parzialmente o per intero») nei casi di soccombenza reciproca, oppure in ipotesi di assoluta novità della problematica trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Infine, quando le parti aderiscono alla proposta, il giudice deve disporre la cancellazione della causa dal ruolo e dichiarare l’estinzione del giudizio (Tribunale di Nocera Inferiore, ordinanza del 7 novembre 2013). Antonino Porracciolo

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