LA STAMPA
Un rimedio ai riti inadeguati dei tribunali
di Carlo Rimini – Ordinario di diritto privato nell`Università di Milano
Da alcuni decenni si parla di riforma della giustizia civile e da tempo si succedono interventi che dovrebbero migliorare l`efficienza del processo. La
prima significativa modifica del codice di procedura civile risale addirittura al 1990 e da allora sono state approvate un gran numero di riforme, ogni volta definite epocali. Dopo ogni intervento, gli operatori (giudici, avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari) hanno dovuto abituarsi alle nuove norme, per poi vederle subito sostituite o affiancate da altre ancora più nuove.
Qualche effetto vi è stato, ma non tale da incidere in modo decisivo sulla
durata dei giudizi, allineandola agli standard europei di efficienza.
Di fronte al testo approvato ieri alla Camera viene quindi spontanea una domanda: sarà la volta buona? Per tentare una risposta si deve partire dal difetto che tutti gli interventi precedenti hanno dimostrato di avere: essi non hanno inciso sull`essenza, sulla natura, del nostro processo civile il cui impianto fondamentale è ancora quello delineato nel codice del 1940. Per intenderci, sul tavolo di tutti i magistrati c`è ancora il codice firmato «Vittorio
Emanuele III, Re d`Italia e d`Albania, Imperatore d`Etiopia». È proprio l`impianto di quel codice che deve essere cambiato, perché da allora è cambiato il mondo. La legge del 1940, nonostante le molte modifiche, prevede ancora un rito sempre uguale, indipendentemente dalla complessità della lite. Un processo che si articola in una serie di udienze, imposte dal codice ma spesso inutili e in una serie di memorie scritte, spesso ripetitive. Intanto passano gli anni. All`inizio del giudizio, il giudice sa che, nella maggior parte dei casi, non dovrà prendere alcuna decisione per molto tempo e ciò rappresenta un notevole disincentivo allo studio della causa e alla lettura degli atti, talora inutilmente prolissi. Il processo galleggia quindi per mesi, per anni, sopra un mare di carta. Quando si arriva alla sentenza, il giudice spesso un magistrato diverso da quello a cui il fascicolo era stato assegnato all`inizio
– si rende conto che la decisione poteva essere presa già sulla base dei fatti noti all`inizio della causa, alcuni anni prima.
Il testo approvato ieri alla Camera mostra consapevolezza di questo problema
prevedendo che, nella maggior parte dei giudizi di primo grado, il giudice segua un processo «semplificato». Sarà il giudice a governare il processo dal primo istante «omessa ogni formalità non essenziale». Sin dalla prima udienza dovrà indicare quali attività sono essenziali prima di decidere, ma potrà anche decidere subito accogliendo o rigettando le domande. Anche
gli atti delle parti dovranno essere sintetici. Il principio cardine sembra essere
quello della concentrazione.
Ci sono novità importanti anche per il diritto di famiglia. Vengono introdotte,
presso i tribunali ordinari, le sezioni specializzate per la famiglia seguendo l`esperienza, certamente positiva, del cosiddetto tribunale delle imprese. Vengono invece aboliti i tribunali per i minorenni. Anche il processo che regola la crisi della famiglia viene riformato seguendo la logica della concentrazione: è un processo che potrebbe durare una sola udienza. Sembra fantascienza.
Siamo solo al primo passaggio parlamentare. Il disegno di legge dovrà essere
approvato dal Senato, probabilmente tornerà alla Camera se il Senato lo modificherà. Poi il governo dovrà scrivere il testo della riforma nel rispetto dei principi guida fissati dal Parlamento. Ma se la riforma arriverà in porto, forse sarà la volta buona.