IL CORRIERE DELLA SERA
Slitta il testo sul processo penale
Altalena di pressioni e correzioni
Le critiche dei procuratori sul limite di tre mesi a fine inchiesta
ROMA. L`ostruzionismo grillino fa slittare la discussione sul disegno
di legge di riforma del processo penale, che contiene anche la delega sulla riforma delle intercettazioni che già tante polemiche ha suscitato.
Se ne riparlerà la prossima settimana, ma è pressoché certo che non si arriverà al voto finale prima delle vacanze, come avrebbe voluto il governo. Il che significa, al di là delle schermaglie con il Movimento 5 Stelle accusato (soprattutto dal Pd) di opportunismo e strumentalizzazione delle questioni sul tappeto, che ci sarà altro tempo per riflettere e correggere alcune norme contestate.
Già sulle cosiddette «registrazioni fraudolente» si è intervenuti con ulteriori emendamenti per specificare la possibilità di utilizzarle per dimostrare
la commissione di reati, oltre che da parte dei giornalisti e altri professionisti. Dopo quella, però, è scoppiata un`altra grana, forse più fondata: la
norma, inserita da esponenti del Partito democratico, che impone ai pubblici ministeri il termine tassativo di tre mesi dalla scadenza formale dei tempi
d`indagine entro il quale chiedere il rinvio a giudizio o l`archiviazione di un`inchiesta. Pena avocazione da parte del procuratore generale per chiudere la pratica. Una riforma che ha provocato una sorta di «insurrezione» da parte di diversi magistrati rappresentanti della pubblica accusa. Compreso il
procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, secondo il quale quasi sempre l`eventuale sforamento non dipende dai pm; soprattutto in procedimenti complessi, con molti inquisiti, si resta spesso in attesa
delle informative finali della polizia giudiziaria; le norme per sanzionare eventuali inerzie dei pm ci sono già, inutile creare altre complicazioni burocratiche.
La sintesi del super-procuratore trova concordi molti dirigenti di uffici inquirenti, ma anche un giudice come Piergiorgio Morosini, ora componente del Consiglio superiore della magistratura che sta preparando il parere dell`organo di autogoverno sulle conseguenze della riforma, parla di una soluzione miope a un problema reale: «Soprattutto in indagini di dimensioni medio-grandi, con una pluralità di indagati entrati nell`inchiesta scaglionati nel tempo, l`obbligo di chiudere entro tre mesi dalla scadenza dei termini, fissati dalla prima iscrizione e senza tenere conto delle successive, può provocare più guasti che vantaggi». L`alternativa potrebbe essere un «doppio binario», consentendo tempi più lunghi per le indagini più complesse, come già accade per la mafia e altri reati; oppure (ma pure in aggiunta), consentire una richiesta di proroga al procuratore generale a fronte di particolari esigenze.
È ciò che suggerisce, da Palermo, il procuratore generale Roberto Scarpinato, fresco di avocazione per presunta inerzia su un omicidio del 1990, al quale
la Procura ha reagito rivolgendosi al pg della Cassazione e ottenendo l`annullamento del provvedimento e la restituzione del fascicolo. Secondo Scarpinato la riforma è giusta, fatti salvi i «casi eccezionali» in cui
si può chiedere altro tempo al giudice. Replica di Armando Spataro, procuratore di Torino: «Il nuovo meccanismo renderebbe le competenze del Pg automatiche-ordinarie anziché eccezionali; la sin qui isolata posizione del collega Scarpinato è spia di un`aspirazione a esercitare funzioni proprie del procuratore anziché del pg».
Ma nel Pd non sembrano intenzionati a cedere. Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia, annuncia piccole correzioni sulla linea Scarpinato, salvo chiedere la proroga allo stesso pg anziché al giudice, lasciando così la procedura all`interno degli uffici dell`accusa, senza notifiche
alle parti e viavai di fascicoli. «Bisogna garantire tempi certi per la richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione – spiega l`esponente pd che prima di entrare in Parlamento ha fatto il pm -. Bisogna mettersi anche dalla parte degli inquisiti, i quali non possono restare appesi all`infinito a situazioni indefinite.
Altrimenti non siamo credibili quando chiedono di allungare i tempi di prescrizione. Tre mesi è il tempo concesso a un giudice per scrivere le motivazione di una sentenza di un maxi-processo, mi pare un termine
congruo. Poi possiamo prevedere delle eccezioni, ma l`eccezione non può essere la regola, come adesso». La marcia indietro della politica; dunque, stavolta si annuncia molto parziale, con possibili ulteriori tensioni nei rapporti tra politica e giustizia. Ma chissà che il rinvio di discussione e voto non porti nuovi consigli, da un lato e dall`altro. Giovanni Bianconi