ITALIA OGGI
Per i professionisti serve un regime di sussidiarietà rispetto alla pubblica amministrazione
Casa Italia, decisivo il metodo
Cittadini autonomi e responsabili nella scelta del tecnico
di Maurizio Savoncelli – Presidente Cngegl
Trascorse tre settimane dal drammatico sisma che il 24 agosto ha colpito il Centro Italia, è importante fare chiarezza sulle attività necessarie per gestirne le conseguenze, distinguendo tra fasi di emergenza, ricostruzione e prevenzione.
La fase emergenziale. Riguarda in primo luogo la ricerca dei dispersi e il recupero delle vittime, attività che sommano allo strazio la complessità: Accumuli, Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, le zone maggiormente colpite, sono piccoli comuni che nel periodo estivo ospitano turisti provenienti anche dall’estero e che difficilmente segnalano la propria presenza in maniera ufficiale; il computo dei dispersi (e purtroppo delle vittime) è quindi destinato a rimanere per lungo tempo provvisorio.
A questa fase è ascrivibile anche l’attività di collocazione degli sfollati, che deve avvenire tenendo conto di due elementi: l’incombere delle rigide temperature invernali e la richiesta degli abitanti di rimanere nei loro territori. Una richiesta alla quale occorre dare ascolto perché esprime il desiderio della popolazione di preservare l’identità dei luoghi di appartenenza: l’allontanamento diventerebbe, nel tempo, sinonimo di spopolamento e causa di abbandono e dissesto. Analogamente alla sistemazione in tenda, anche quelle successive (siano esse soluzioni abitative emergenziali o strutture turistico-ricettive) devono essere considerate provvisorie: l’obiettivo è consentire alle persone di tornare a vivere nelle proprie case.
La fase di ricostruzione. Partendo dal postulato che le persone colpite dal sisma intendono tornare a vivere nei luoghi di origine (svolgendo una preziosa funzione di presidio e tutela), la ricostruzione deve avere come obiettivo il recupero dei siti danneggiati, nel rispetto delle caratteristiche degli edifici e del territorio. Per ciò che concerne gli edifici, siamo in presenza di borghi costituiti da abitazioni secolari scampate ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, caratterizzate da una qualità del costruito povera: i materiali impiegati sono pietre di fiume, ciottoli, calce, sabbia o addirittura terra. Il territorio associa a una bassa densità abitativa un elevato frazionamento della proprietà: la circostanza potrebbe favorire una ricostruzione graduale, per nuclei storici, operata attraverso interventi focalizzati su gruppi di poche case, in luogo di interventi estesi. Una progettazione sostenibile, ugualmente rispettosa dei livelli di sicurezza e delle caratteristiche del territorio: fabbricati dotati di un’anima strutturale conforme alla normativa sismica sui quali realizzare interventi di rivestimento, finitura e completamento utilizzando materiali originari. È il «modello Norcia»: nella cittadina umbra ogni pietra catalogata all’indomani del crollo è stata utilizzata nella successiva ricostruzione.
La prevenzione. La questione è delicata e complessa, e qualsiasi discussione di merito richiede doverose premesse. La prima: gli interventi di messa in sicurezza devono essere eseguiti in funzione dell’età degli edifici e del relativo grado di vulnerabilità sismica. In Italia la prima disciplina organica in materia sismica è la legge 2 febbraio 1974 n. 64: prima di allora, in assenza di una profonda consapevolezza in merito ai rischi ai quali ci si esponeva, si costruiva in piena libertà. La più recente è il dm 14 gennaio 2008, che introduce il concetto prestazionale in luogo di quello prescrizionale: il progettista può individuare in autonomia il percorso da seguire per garantire il massimo livello di sicurezza, diffuso sull’intera costruzione. Nel mezzo, metodologie costruttive che evolvono parallelamente alla normativa. A ciascuno di questi ambiti temporali corrisponde, quindi, un differente livello di esposizione al rischio sismico: massimo per le costruzioni ex ante 1974, minimo per quelle ex post 2008, variabile per quelle del periodo intermedio. In base a questo assunto e utilizzando come parametro di intensità sismica l’impatto del territorio de L’Aquila, si stima di dover intervenire su circa 12 milioni di immobili con il coinvolgimento di circa 23 milioni di cittadini. Seconda premessa: lo Stato spende annualmente circa 3 miliardi di euro per opere di ricostruzione post-sisma; l’attuazione di un piano di prevenzione ridurrebbe progressivamente i costi attuali e futuri. Terza premessa: lo Stato deve rendersi protagonista di scelte di politica economica finalizzate ad incentivare l’adeguamento strutturale antisismico del patrimonio immobiliare privato, oltre che di quello pubblico. Definite le premesse, occorre procedere con proposte circoscritte e praticabili.
«Casa Italia»: le proposte della Rete delle professioni tecniche. In occasione delle consultazioni avviate lo scorso 6 settembre dal presidente del consiglio Matteo Renzi, estese a tutte le realtà che gravano attorno al mondo delle costruzioni, la Rete delle professioni tecniche – rappresentata a Palazzo Chigi dai presidenti dei Consigli nazionali di ingegneri, architetti, geometri e geologi – ha illustrato il «Piano di prevenzione del rischio sismico». Il documento, articolato in tre fasi, definisce azioni concrete e costi certi per mettere in sicurezza il territorio e il patrimonio edilizio urbano e rurale.
Rimandando ad altra sede l’approfondimento (il documento integrale è disponibile sul sito www.geometrinrete.it), avanzo alcune considerazioni di carattere operativo e metodologico in merito alla prima fase, la più urgente e necessaria: «Azione di monitoraggio immediata sul livello di vulnerabilità sismica di ciascun edificio». Gli interventi devono avvenire secondo una scala di priorità: la prima analisi speditiva di sicurezza sismica deve partire dalle zone a rischio più elevato (Zona 1), con l’obiettivo di rilevare la tipologia di rischio, gli interventi da eseguire in relazione alle caratteristiche geo-meccaniche e di faglia, i costi della ricostruzione o messa in sicurezza; al termine si procederà con gli interventi suddetti e, contestualmente, con il prosieguo dello screening nelle zone a rischio sismico decrescente (Zone 2, 3, 4).
Il ruolo dello Stato, dei professionisti, dei cittadini. Lo Stato ha la responsabilità di affrontare i costi della messa in sicurezza del patrimonio immobiliare utilizzando risorse specifiche e fondi Ue (ai quali si accede mediante progetti che espongono chiarezza metodologica e finanziaria) per quello pubblico, e adottando politiche di incentivazione economica per quello privato: forti sgravi fiscali per chi ha redditi elevati, contributi a fondo perduto per gli incapienti. Ugualmente necessaria una campagna informativa finalizzata a promuovere la cultura della prevenzione.
Le valutazioni potranno essere eseguite dai professionisti tecnici, figure tradizionalmente incaricate dal Dipartimento della protezione civile alla compilazione delle schede di rilevamento danno, pronto intervento e agibilità per edifici ordinari nell’emergenza post sismica (AeDES). In questa prospettiva, è necessario che essi possano operare in regime di sussidiarietà rispetto alla p.a. (che mantiene in capo le attività di programmazione, coordinamento e controllo), sgravando i cittadini da incombenze burocratiche e procedure amministrative percepite come vessatorie. Riconoscere ai cittadini un ruolo attivo nell’attuazione di un piano nazionale antisismico (che il Governo è risoluto a lanciare), assegnando autonomia nella scelta del professionista tecnico, significa investirli della responsabilità di agire «in casa propria» per il bene della collettività.