IL SOLE 24 ORE
Commercialisti. Le linee ispiratrici del documento sulle sanzioni che è in consultazione fino al 30 giugno
Il codice «guarda» al penale
Presi a prestito molti istituti ma resta da garantire il diritto di difesa
I propositi che stanno alla base del Codice delle Sanzioni disciplinari elaborato dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e revisori contabili sono da condividere e apprezzare.
È infatti innegabile che il lavoro dei professionisti viene talvolta offuscato da semplicistici pregiudizi, che fanno torto al ruolo indispensabile che essi hanno in molti settori economici e sociali. Di qui la decisione dei commercialisti di dare un segnale forte – agli iscritti all’albo, ma anche alle istituzioni – attraverso un’autoregolamentazione caratterizzata da una severa tipizzazione delle tipologie degli illeciti disciplinari, e da automatismi nella determinazione delle sanzioni volti a evitare disparità di trattamento.
Una prima lettura delle nuove disposizioni suscita però qualche riflessione, che è auspicabile venga affrontata e risolta dagli Ordini territoriali nel periodo di consultazione che durerà fino al 30 giugno, ferma restando l’importanza che il diritto vivente avrà per collocare le novità nella concreta fisionomia del procedimento disciplinare.
Sono evidenti le influenze che il Codice subisce dagli istituti del diritto penale: si pensi all’introduzione del principio di “colpevolezza” dell’illecito disciplinare e dell’illecito disciplinare “circostanziato”, o all’importanza riservata a elementi quali il danno da illecito disciplinare e il “ravvedimento” dell’iscritto. Novità condivisibili, tranne che nei casi di violazione degli obblighi formativi, che appaiono difficilmente distinguibili in casi di “dolo” o “colpa”, e che perciò forse avrebbero meritato una collocazione autonoma dal Codice.
Altrettanto pregnanti sono le similitudini tra la sanzione disciplinare – alla quale le nuove norme si propongono l’obiettivo di attribuire una natura sempre più afflittiva, anche attraverso l’individuazione di minimi e massimi edittali collegati al singolo illecito – e il concetto di “pena”.
Qualche falla può essere rappresentata dall’assenza di una disposizione che aiuti i giudici a districarsi nelle situazioni in cui concorrano aggravanti ed attenuanti. Basta pensare al caso di un incolpato che abbia cagionato un grave danno – ovvero un’aggravante che può talora comportare la radiazione – in assenza però di dolo, cioè un’attenuante che consente importanti diminuzioni della sanzione. L’assenza di una norma di coordinamento lascia ampia discrezionalità nella graduazione della sanzione – forse andando oltre alle intenzioni del Consiglio nazionale – dato che l’unico limite è quello dell’onere motivazionale, introdotto dall’articolo 10.
La natura particolarmente afflittiva che ci si propone di attribuire alla sanzione disciplinare non può poi escludere aprioristicamente – nei casi di procedimento penale e disciplinare per i medesimi fatti – l’applicazione del divieto di bis in idem, secondo i parametri indicati dalla giurisprudenza europea. È il caso della violazione del principio di riservatezza (articolo 17), che nei casi aggravati può comportare la sospensione dalla professione superiore a un anno: ovvero una pena in concreto ben più afflittiva – si pensi al danno economico che crea al professionista – di quella in ipotesi applicabile in sede penale per la violazione dell’articolo 622, Codice penale (rivelazione di segreto professionale), che prevede nel massimo la reclusione fino a un anno, ma che può rimanere priva di conseguenze concrete se viene concessa la sospensione condizionale.
Tutto ciò è altamente condivisibile, dato che lo strumento penale dovrebbe essere residuale e lasciare il passo alla giustizia disciplinare, e se del caso a quella civile, in tutti i casi di condotte professionali che non abbiano comportato un danno agli interessi dello Stato. Purché epiloghi di questo genere vengano incoraggiati dalla giurisprudenza, e il diritto di difesa dell’incolpato venga sempre effettivamente garantito dalla celebrazione di un procedimento disciplinare attento al rispetto dei principi del giusto processo.
Guido Camera