ITALIA OGGI SETTE
La foto scattata da ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano: vince la tradizione
Innovazione, professioni a secco. Due studi su tre non intendono investire in tecnologia
Lun.29 – Tecnologia, questa sconosciuta per gli studi professionali. Due su tre, infatti, non considerano l’innovazione tecnologica uno strumento di sviluppo dell’attività e non intende investirci. Non solo. Mediamente lo studio professionale ha due professionisti e due dipendenti, un fatturato massimo di 100 mila euro, non più di 50 clienti e svolge attività tradizionale. Sono alcuni dei dati che emergono dalla ricerca dell’Osservatorio Professionisti & Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, presentata il 26 febbraio scorso a Milano, dal titolo «Professionista, oggi apriresti uno studio?». L’indagine prende in esame gli studi di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari, attraverso questionari che raccolgono le risposte di oltre mille soggetti. Ma vediamo i risultati nel dettaglio.
La propensione all’innovazione. Riguardo la tecnologia, l’analisi individua cinque tipologie di comportamento e sensibilità nei confronti dell’innovazione digitale. Il 14% del campione rientra nelle «avanguardie strutturate», ovvero si tratta degli studi che prima di altri hanno creduto nella capacità delle tecnologie di creare valore per l’attività. Generalmente, si tratta di studi con in portafoglio oltre 60 clienti aziendali, un fatturato per addetto superiore ai 60 mila euro e che dedicano più del 28% del budget Ict a progetti innovativi. Un altro 11%, invece, testimonia interesse e sensibilità verso le tecnologie. Sono studi con una elevata propensione all’investimento in Ict (oltre il 5%) ma essendo partiti in ritardo hanno effettuato scelte più in chiave tattica che strategica, perdendo in efficienza. Un terzo cluster è formato dal 17% degli studi che dispongono di indicatori di performance e dimensionali al di sopra della media in virtù dei quali non hanno investito in tecnologia sia per il modello organizzativo sia per quello di business. Tuttavia, manifestano un concreto interesse per i temi formativi orientati alla digitalizzazione. Il 10%, invece, con buoni indicatori di efficienza interna ma con redditività in calo si dimostra indifferente nei confronti delle tecnologie anche in chiave prospettica. Il quinto cluster individuato dalla ricerca è formato dalla maggior parte degli studi (48%), che non dispongono di buoni indicatori economico-finanziari e non rivelano reazioni sensibili alla contingenza sfavorevole.
Il fatturato. L’analisi ha poi preso in considerazione gli indicatori economico-finanziari degli studi, ovvero il fatturato e la redditività. Gli studi sono ancora per la maggior parte di micro e piccola dimensione, con il 54% che realizza un fatturato massimo di 100 mila euro e con un portafoglio di clientela aziendale non superiore ai 50 nominativi. Per circa la metà degli studi il fatturato medio per cliente è quindi di due mila euro. Sempre il 54% degli intervistati dichiara una redditività in crescita, segnando un incremento del 10% rispetto alle rilevazioni del 2014. Anche per il fatturato, la crescita riguarda oltre la metà degli studi (55%). Quanto all’attività, quella di natura tradizionale, superiore al 70%, rimane prevalente ma è gestita con più elevati livelli di efficienza da parte di coloro che hanno investito in tale ambito. Inoltre, l’indagine rivela che l’attività di consulenza è in aumento per un numero di studi doppio rispetto a quelli che dichiarano un incremento dell’attività tradizionale (29% contro il 14%). L’interesse verso la consulenza online appare poi elevato, con il 51% degli studi che dimostra interesse o per maggiore visibilità, o per intercettare nuova clientela, oppure ancora per fidelizzare la clientela esistente o incrementare il fatturato. Quanto all’organico, il 73% degli studi è ancora di natura individuale, mentre in media lo studio è composto da poco più di due professionisti e due dipendenti. Gli studi professionali sono fornitori della p.a. nel 26% dei casi, con una punta massima tra gli avvocati (37%) e minima tra i consulenti del lavoro (8%).
La concorrenza. A livello di concorrenza, inoltre, il prezzo risulta essere la principale leva competitiva secondo gli studi (45%). In particolare, guardando per singola professione, il prezzo risulta la principale leva competitiva per gli studi legali quando si confrontano sul cliente con i propri colleghi. Per i commercialisti il prezzo entra soprattutto in gioco con i Caf, mentre per i consulenti del lavoro con le associazioni di categoria e per gli studi multidisciplinari con i commercialisti.