CORRIERE ECONOMIA
Concorrenza. Le proposte del Colap. Il confronto con gli Ordini
Lavoro & riforme. Stop al federalismo delle professioni»
Alessandrucci: nella riforma costituzionale una legge quadro nazionale per norme uniformi
Il primo tentativo è del 2001. Anche allora la riforma costituzionale avrebbe dovuto avere un impatto sul mondo delle professioni, quello che si prefigge anche la riforma voluta dal ministro Boschi, approvata in Parlamento e che si avvia dunque verso il voto popolare attraverso un referendum. L’obiettivo è la riforma del titolo V della Costituzione. Le Regioni, in tutti questi balletti di riforme costituzionali hanno acquisito competenze in materia di professioni, ma in maniera concorrenziale, contribuendo ad aumentare la confusione sul tema.
I conflitti tra Stato e Regioni non sono stati pochi in questi anni, al punto che spesso è stata coinvolta anche la Corte costituzionale. Oggi il rischio, paventato soprattutto dal Coordinamento libere associazioni professionali, è che si perda un’altra occasione per una riforma con regole uniche e condivise.
L’occasione
«E evidente a tutti che la riforma costituzionale del 2001, non abbia influito per nulla sulla riforma delle professioni – fa notare Emiliana Alessandrucci, presidente del Colap -. Lo Stato non è riuscito a varare una riforma complessiva del mondo delle professioni, ma ha dovuto procedere con leggi differenziate, per l’opposizione dei vari Ordini. Quindi se lo scopo della riforma costituzionale era quello di creare una legge nazionale comune a tutte le professioni, sulla base della quale poi le Regioni avrebbero potuto legiferare per adeguare le norme generali alle singole esigenze, il tentativo è fallito».
Per anni si è assistito a un atteggiamento schizofrenico da parte delle singole Regioni che hanno finito per ingarbugliare ancora di più la matassa. «Se lo Stato ha fallito nell’obiettivo di creare una normativa unitaria – ammette Alessandrucci – ugualmente hanno fatto le Regioni che, invece di utilizzare la riforma costituzionale per adeguare le professioni alle loro specifiche esigenze, hanno tentato di dettare una normativa generale delle professioni associative. Tentativo che è stato regolarmente ed ovviamente sanzionato dalla Corte costituzionale, con numerose sentenze».
Forze
Con il disegno di legge sul lavoro autonomo, però, si sta lavorando a un modello di regole condivise tra ordini e associazioni professionali. «È vero – ammette la presidente del Colap – stiamo tentando un’eccezione. Dalle anticipazioni sugli emendamenti al provvedimento si travedono aperture non solo per gli ordini professionali. Potrebbe essere un precedente su cui lavorare, anche se la contrapposizioni e le resistenze del mondo delle professioni ordinistiche restano ancora forti».
La proposta
Se il nodo rimane la ridefinizione del titolo V della Costituzione, in merito le professioni associative hanno le idee chiare. «Per noi il ritorno alla competenza esclusiva dello Stato nella materia delle professioni è senz’altro un’auspicabile risultato. La caratteristica delle professioni disciplinate ai sensi della legge 4/2013, è quella di non avere una specifica legge nazionale che riconosca e regolamenti ogni singola attività».
Un antidoto sicuro alla confusione e alla sovrapposizione (a volte conflittuale) di regole ed enti competenti? «Non c’è dubbio – concorda Alessandrucci -. L’assetto di questi ultimi quindici anni ha portato le regioni a utilizzare la loro competenza per creare nuove professioni e per dettare norme diverse sulle singole attività professionali, creando così non poche difficoltà ai professionisti.
Il ritorno all’esclusiva competenza dello Stato in materia di professioni, porrà fine a questi confusi tentativi delle regioni e sancirà definitivamente come l’unica disciplina per le professioni associative sia la legge 4/2013». Isidoro Trovato