PROFESSIONI: Studi professionali, la svolta digitale è in ritardo (repubblica.it)

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Studi professionali, la svolta digitale è in ritardo
La fotografia della School of Management dell’evoluzione degli studi di Avvocati, Commercialisti e Consulenti del lavoro mette in luce ancora poca fiducia nei confronti della digitalizzazione per migliorare i propri business

Aprire o non aprire uno studio? La provocazione giunge dal convegno organizzato dal Politecnico di Milano per presentare i dati dell’Osservatorio Professionisti & Innovazione digitale 2016 della School of Management, ma più che riguardare il dilemma shakespeariano vuol far riferimento all’impostazione dello studio che, investito da una inevitabile trasformazione del modo di lavorare, sta cambiando.
“Nel mondo delle professioni – ha denunciato Umberto Bertelè, presidente Osservatori Digital Innovation – la capacità generatrice di valore da parte dell’innovazione digitale è stata inizialmente compresa da pochi”.
Nell’ultimo biennio, redditività e fatturato degli studi delle ‘professioni giuridiche d’impresa’ (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) sono aumentati, ma si tratta di realtà di piccole dimensioni che si muovono tra molteplici difficoltà: si stima che abbiano un fatturato medio per cliente di 2mila euro, ossia generato da lavori semplici. Quindi la sfida della redditività, come vedremo, si gioca su due livelli, da un lato sul tipo di attività svolta, dall’altro sulla concorrenza sul prezzo.
Dal primo punto di vista, sta crescendo il tempo lavorativo dedicato alle attività di business: è interessante notare che l’attività di consulenza è in aumento per un numero di studi doppio rispetto a quelli che dichiarano un incremento dell’attività tradizionale (29% rispetto al 14%) pur restando, in assoluto, prevalente quest’ultima. Si nota quindi un orientamento verso lavori più remunerativi, per fare un solo esempio, il 51% degli studi dimostra interesse per l’attività di consulenza online per i seguenti motivi: maggiore visibilità (44%), possibilità di intercettare nuova clientela (29%), fidelizzazione (18%), incremento del fatturato dello studio (9%).
Sul secondo fronte, la price competition per gli avvocati si svolge con i colleghi, per i commercialisti con i Caf, per i consulenti del lavoro con le associazioni di categoria. A questo proposito è interessante notare che poco più di un terzo degli studi ha sviluppato una coscienza collaborativa, dimostrando una visione manageriale/imprenditoriale. A tale visione, secondo gli analisti del Politecnico, può essere ricondotta la scelta dell’outsourcing di alcune attività, ma un modello organizzativo snello è adoperato ancora poco.
In questo scenario, la tecnologia può rappresentare un alleato per gli studi professionali (che si calcola che nel 2015 abbiano speso oltre 1,1 miliardi di euro in tecnologia) e la relazione tra fatturato/redditività e adozione di soluzioni IT è tanto più evidente quanto maggiore è la crescita del fatturato e della redditività, il che innesca un circuito virtuoso di investimenti e ritorni. Al momento prevale però ancora l’ottica di investire in tecnologia per recuperare l’efficienza interna e soddisfare, soprattutto le attività di natura tradizionale.
Nell’Osservatorio sono stati classificati 5 livelli di sensibilità rispetto alla tecnologia, tenendo presente che al momento è solo poco più il 40% degli studi a vedere nell’IT uno strumento per lo sviluppo del proprio studio, mentre tutti gli altri sono fermi.
Su un campione di circa 150mila studi vi sono le cosiddette Avanguardie strutturate (14%), spesso le realtà più grandi, che dedicano budget a progetti realmente innovativi e a formazione su temi Ict, con piani di investimento pluriennali.
Gli Innovatori caotici (11%) sono partiti un po’ dopo i pionieri appena menzionati, sono animati dal desiderio di migliorarsi, ma stanno effettuando scelte più tattiche che strategiche.
Gli studi, ben radicati nei territori di appartenenza, con indicatori di performance buoni, non hanno interesse al momento per la tecnologia, ma sono stati definiti Benestanti ricettivi (17%) in quando manifestano interesse per la digitalizzazione, hanno idee di investimento rimandate a un futuro prossimo.
Esistono poi gli Efficienti miopi (10%) che dispongono di buoni indicatori di efficienza interna ma hanno redditività in calo, la loro cultura non è proiettata al cambiamento.
Ben il 48% del campione è composto da Periferici seduti, realtà che operano su territori con economie modeste, non hanno buoni indicatori economico-finanziari eppure non rivelano reazioni sensibili alla contingenza sfavorevole.
A tutto ciò si aggiunga che, nello studio emerge che gli effetti della digitalizzazione della PA, al contrario di quanto si potesse credere, non sono ancora percepiti da ben il 67% degli studi che addirittura hanno dichiarato che è aumentato il tempo dedicato agli adempimenti verso la PA stessa.
Si percepisce, in pratica, ancora molta incertezza, il che promuove trend positivi: sono sempre di più le categorie professionali che aumentano l’interesse per alcune aree di competenza (comunicazione, soft skills ossia competenze trasversali, social network) che dimostrano cioè la volontà di aggiornare il proprio profilo con abilità nuove, spostando la competizione su altri terreni. Cristina Mazzani

Foto del profilo di Andrea Gentile

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