ITALIA OGGI
La proposta dei Cnpi e dei rettori per soddisfare le future esigenze di mercato
Una laurea professionalizzante
Tre anni ad hoc per formare le figure tecniche di I livello
Ven.25 – Da qui al 2025 nuove opportunità occupazionali per oltre 2 milioni di profili tecnici intermedi. Ed è proprio in Italia, secondo l’ultimo dossier elaborato dal Centro Studi Opificium-Cnpi, dopo Germania (quasi 3 milioni di tecnici) e Francia (2,2milioni) dove si concentreranno le maggiori opportunità occupazionali per le figure tecniche. Le competenze che non si trovano. È naturale quindi che alla richiesta di competenze tecniche sempre più specializzate, farà da sponda anche un innalzamento del livello formativo, che però in Italia non trova un adeguato riscontro.
Basti pensare che secondo l’indagine sulle previsioni di assunzione delle imprese italiane realizzata da Unioncamere-Exclesior, tra 2011 e 2015, la quota di laureati richiesti per profili tecnici è passata dal 42 al 50%. Molti di questi cosiddetti introvabili. La ragione? Una delle colpe (ma non solo) è imputata alla mancanza di un canale formativo adeguato, anche perché a più di 15 anni dalla sua introduzione, la laurea triennale continua ad essere identificata solo come il primo tassello del percorso quinquennale, venendo meno all’obiettivo iniziale di creare un percorso universitario professionalizzante. Basti pensare che la quota di laureati in ingegneria che al completamento della triennale decide di proseguire gli studi è salita dall’80,8% del 2004 all’87,5% del 2014.
Il percorso professionalizzante. Come rispondere quindi a questa criticità? Secondo i periti industriali, ma anche per il mondo accademico (Crui, Cun) e delle istituzioni (Miur) che sul punto si sono confrontati in occasione del convegno «Università a misura di professione» organizzato dal Cnpi lo scorso 17 marzo, la risposta è semplice: costituire un percorso di laurea professionalizzante cucita, appunto, a misura di quel tecnico di I livello tanto richiesto dal mercato. Un percorso che, sempre secondo i dati contenuti nel rapporto, potrebbe avere diverse conseguenze positive. Innanzitutto innalzare la quota di laureati, soprattutto tra i giovani. In Italia, infatti, solo il 22% dei giovani compresi tra i 30 e 34 anni ha conseguito un titolo di studio universitario, contro una media europea del 39%. Tale ritardo è da attribuire all’assenza di un canale terziario professionalizzate: solo 1 giovane su 100 ha conseguito questo tipo di titolo, rispetto al 9% della media europea. In secondo luogo ridurre la dispersione. A sei anni dall’immatricolazione in un corso di laurea triennale di ingegneria, il 29% ha abbandonato gli studi, il 50% si è laureato, mentre il 21% risulta ancora iscritto. E infine arginare il fenomeno dei neet: a un anno dal conseguimento del titolo non studia e non lavora il 24% dei diplomati degli istituti tecnici, contro il 17% del totale dei diplomati e il 4,8% di chi ha seguito il liceo. Non solo perché dal 2001 ad oggi, il numero di immatricolati provenienti dagli istituti tecnici è diminuito del 52,9%, con una perdita di oltre 42 mila unità.
Il progetto dei periti industriali. In questo quadro si colloca il progetto «università» del Cnpi che punta a inventare quella formazione mancante. I periti industriali hanno quindi già siglato alcuni accordi con diverse università italiane con l’obiettivo di: sostenere l’orientamento in entrata (verso l’università) e in uscita (verso l’albo di categoria), garantire ai giovani diplomati e laureati la possibilità di svolgere il tirocinio presso gli studi professionali degli iscritti, assicurare un sistema di mutuo riconoscimento tra i crediti formativi universitari e crediti validi ai fini della formazione continua e, infine, lavorare con gli atenei per costruire un percorso universitario ad hoc per il perito industriale. «Il nostro progetto», ha dichiarato il presidente del Cnpi Giampiero Giovannetti, «nasce dall’esigenza di elevare il titolo formativo e adeguarlo alle richieste di un mercato che ha visto crescere la concorrenza interna e il livello qualitativo della domanda. Attualmente, però, non esiste un’offerta formativa che risponda alle esigenze di alcune professioni come quella di perito industriale. Da un lato infatti, la tradizionale formazione tecnica di livello secondario è andata sempre più depauperandosi, risultando oggi del tutto inadeguata; dall’altro lato, le lauree triennali non sono riuscite a fare quel salto atteso dal sistema e che avrebbe dovuto renderle più professionalizzanti. In attesa, quindi, che politica e governo assecondino questa necessità, abbiamo sentito l’esigenza di farci parte attiva per costruire quel percorso formativo professionalizzante che, con un buon orientamento, consentirebbe di riagganciare al circuito della formazione una parte di giovani che si disperde o addirittura abbandona».