LIBERO
Le polemiche innescate da Davigo
Che bugie sulla prescrizione: c`è solo in un processo su 10
Quando intercorre è quasi sempre in fase preliminare, quindi è colpa
dei pm. Il vero problema sono i tempi: una sentenza richiede dieci anni
lun.9 – Quanto c`è di vero nelle numerose dichiarazioni sulla giustizia in Italia che in queste ultime settimane hanno riempito le pagine dei giornali e i talk show politici? Che i processi nel nostro Paese siano lunghi è indubbiamente vero, anche se c`è molta confusione su «quanto» esattamente siano lunghi.
I DATI
Si tratta di uno dei temi più controversi utilizzato in genere da coloro che nelle polemiche degli ultimi giorni si sono schierati accanto a Piercamillo Davigo, il nuovo presidente dell`Anm che con una serie di interviste molto polemiche ha riaperto il dibattito sul tema. La cifra che si sente dire più spesso è che il 30-40% dei processi penali in Italia finisce con una prescrizione. Lo ha detto ad esempio il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e lo ha ripetuto il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. I dati disponibili, però, raccontano una storia diversa. Il ministero della Giustizia, ad esempio, scrive sul suo sito che nel 2013, ultimo anno disponibile, i provvedimenti di prescrizione sono stati 123.249. La stragrande maggioranza, poco più Del 60% del totale, sono avvenuti nella fase di indagini preliminari, cioè ancora prima dell`inizio del processo vero e proprio. I processi finiti con una prescrizione, tra giudice di pace, primo grado, appello e cassazione sono poco meno di 40mila. Secondo l`Istat, nello stesso anno, negli stessi gradi di giudizio sono arrivati a termine circa 510mila processi. Le prescrizioni, quindi, riguardano meno del 10% dei processi. Se teniamo conto soltanto della Corte d`Appello la percentuale sale: circa il 20% dei processi finisce con una prescrizione: la metà di quanto dice Roberti.
I MAGISTRATI NOSTRANI
Si tratta di una dichiarazione molto in voga qualche anno fa e di recente tornata di modo grazie all`intervista che Davigo ha rilasciato a Sky Tg24. «I magistrati italiani ha detto il presidente dell`Anm -sono i più produttivi dei 48 stati del Consiglio d`Europa». Secodo Davigo a dirlo è la Commissione Europea per l`efficienza della giustizia (Cepej) che pubblica ogni biennio
un rapporto sull`andamento della giustizia. Dice Davigo: «I dati parlano
da soli. Noi produciamo il doppio dei nostri colleghi francesi e il
quadruplo dei tedeschi». In realtà la Cepej non ha fatto alcuna affermazione
del genere: nelle 500 pagine del rapporto sull`andamento della giustizia i dati di cui parla Davigo non si trovano. Anzi: più volte gli autori del rapporto mettono in guardia dall`usare i loro dati per fare confronti internazionali, visto che spesso i sistemi giuridici sono così differenti da essere incomparabili. Davigo non specifica come è arrivato al suo conteggio, ma qualche anno fa si diffuse un conteggio artigianale, basato sui dati Cepej: dividere il numero di procedimenti penali definiti per il numero di giudici in una certa nazione. Così facendo, effettivamente si arriva al numero di cui parla Davigo: i magistrati italiani «definiscono» molti più processi dei loro colleghi francesi e tedeschi. Ma «definire» un processo non è di per sé un indice di produttività. Il dato sulle «definizioni» italiane, ad esempio, comprende anche le archiviazioni di indagini penali. In Germania, invece, dove le cose funzionano diversamente, tutte le archiviazioni sono compiute da un giudice. Quelle che vengono archiviate da un pm non risultano nel conteggio delle definizioni e quindi rischiano di fare sembrare i giudici tedeschi più pigri. Senza contare che definire tanti processi non equivale a lavorar bene: paradossalmente un giudice potrebbe decidere di archiviare tutto e risultare comunque molto produttivo. Infine, il conteggio di Davigo è molto limitato: riguarda solo processi penali e soltanto di primo grado. Moltissimi dei problemi della giustizia italiana, invece, si trovano nel secondo grado.
DECENNI BUTTATI
Che i processi durino troppo è oramai un luogo comune, anche se è difficile dire esattamente «quanto». Il problema è che esistono tanti tipi di processo diversi: penale, civile, amministrativo o del lavoro. Si tratta di un tema così complesso che il ministero della Giustizia non pubblica una statistica organica
sulle durate. Così sul tema sono stati fatti decine di studi, alcuni più affidabili di altri, che hanno contribuito a diffondere la percezione della lunghezza eccessiva, senza però spesso precisare «quanto».
Il più ampio, completo e aggiornato è probabilmente il dossier «Dati statistici relativi all`amministrazione della giustizia in Italia», pubblicato nel maggio 2013 dal Servizio studi del Senato. Si tratta di un documento di circa 100 pagine, zeppo di grafici, tabelle e, soprattutto, confronti internazionali essenziali per farsi un`idea precisa di cosa non vada davvero nella giustizia
italiana. Cominciamo coi processi di primo grado. Nel 2011 – ultimo
anno per cui sono disponibili i dati – in media un procedimento penale durava in primo grado 342 giorni. Se invece passava dal giudice di pace, la durata si abbassava a 245. Per concludere il primo grado, quindi, sono necessari tra 8 e 11 mesi. In caso d`appello, si passa alla Corte di appello e qui le cose iniziano a diventar davvero lente. Nel 2011 la durata media di un procedimento in Corte d`Appello era 947 giorni, poco meno di tre anni. Il terzo grado, la Cassazione, è il più rapido di tutti con una media di sette mesi per procedimento. Un processo penale, quindi, dura in media 4 anni e mezzo. Non esistono stime organiche della durata dei procedimenti penali negli altri paesi Ue, ma nelle grandi nazioni con ordinamenti simili al nostro la durata media si aggira intorno a 2 anni. Come se non bastasse, i dati del dossier mostrano che i tempi impiegati nel grado più lento, le Corti di Appello, non hanno fatto altro che allungarsi negli ultimi anni. Nel 2005 bastavano 612 giorni mentre sei anni dopo, nel 2011, ne servivano il 30% in più. A questi tempi, infine, si possono aggiungere anche quelli delle indagini, che non fanno parte del «processo penale» (che inizia col rinvio a giudizio), ma che sono incluse invece nel «procedimento penale» (che inizia con l`iscrizione
della notizia di reato). La durata è elevata, ma si è ridotta negli anni: era 469 giorni nel 2005 e 403 nel 2011. Se questi numeri sono impressionanti,
quelli della giustizia civile disegnano uno scenario davvero disastroso. I giudici di pace impiegano più di un anno (376 giorni) per definire un primo grado. Il tribunale ordinario impiega in media cento giorni in più, 470. La Corte d`Appello ne impiega 1.060 e la cassazione addirittura 1.105. Un totale
di circa 2.500 giorni: otto anni per arrivare a un giudizio civile. Ma
la situazione è in realtà persino peggio di così. La media delle Corti d`Appello, infatti, è tenuta «bassa», dal fatto che le Corti si occupano di cause del lavoro, che durano molto meno. Prendendo in considerazione soltanto le cause civili ordinarie, quelle ad esempio per restituire un credito, la durata raddoppia a 1.066 giorni, la Corte d`Appello sale invece a 1.500. Sommando i mille giorni della Cassazione si arriva a una media di 10 anni per risolvere un contenzioso civile ordinario. DAVIDE MARIA DE LUCA