SENTENZE: Delibera dell’assemblea impugnabile da tutti (Il Sole 24 Ore)

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Tribunale di Roma. Può agire anche il socio di minoranza il cui voto non è decisivo
Delibera dell’assemblea impugnabile da tutti

Il socio di minoranza può impugnare la deliberazione dell’assemblea anche se il suo voto non era determinante per l’esito della decisione. È questa la conclusione di una sentenza del Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia d’impresa (presidente Mannino, relatore Romano), depositata lo scorso 17 ottobre.
Nel giugno 2012 l’assemblea dei soci di una Spa aveva approvato una modifica dello statuto sociale. Una socia aveva poi impugnato la delibera, deducendo che la trasformazione era nulla in base all’articolo 2379 del Codice civile, dal momento che la convocazione dell’assemblea non era stata comunicata né a lei né ai sindaci. Dal canto suo, la Spa ha eccepito il difetto di interesse dell’attrice a contestare la delibera; ciò perché la socia, essendo titolare del 7% del capitale, non avrebbe potuto bloccare la delibera, che era stata votata dall’89,50% delle partecipazioni azionarie.
Il Tribunale respinge, innanzitutto, l’eccezione di carenza di interesse. Secondo i giudici capitolini, infatti, l’articolo 2379, nel disporre la nullità delle deliberazioni assunte dall’assemblea in difetto di convocazione, «tutela l’interesse di ciascun socio a intervenire e, dunque, a prendere parte al processo di formazione della volontà della società». Di conseguenza, la delibera societaria è nulla anche quando la convocazione è «stata omessa con riferimento a un socio titolare di una partecipazione che non avrebbe comunque potuto influire sull’esito della votazione».
In questi casi non esiste, dunque, un problema di «prova di resistenza», e cioè di verifica se il voto del socio non convocato sarebbe stato determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria ad approvare (o a respingere) la proposta all’ordine del giorno. Infatti, per la pronuncia della nullità, ciò che conta non è l’esito finale o la capacità del socio escluso di incidere sul voto, bensì la possibilità dello stesso socio di contribuire alla discussione dell’assemblea. Altrimenti – conclude il Tribunale – «non si vedrebbe neppure la ragione per la quale dovrebbero tenersi le assemblee» nelle società con un socio di maggioranza.
Nel merito, i giudici respingono le richieste dell’attrice. Innanzitutto perché la socia era stata convocata con una lettera raccomandata, sicché si doveva presumere, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, che l’atto era giunto alla destinataria. E poi perché la norma che prevede il dovere dei sindaci, a pena di decadenza dalla carica, di assistere alle assemblee (articolo 2405 del Codice civile) «è diretta a incidere sul rapporto (intercorrente tra società e sindaci) e non già sull’atto»; con la conseguenza che la violazione dell’obbligo di partecipazione «non si ripercuote, di per sé, sulla validità delle deliberazioni assunte dall’assemblea». Peraltro, il legislatore, quando ha voluto dare rilievo alla mancata partecipazione dei sindaci, lo ha fatto esplicitamente. Come nella disposizione contenuta del comma 4 dell’articolo 2366 del Codice civile, secondo cui l’assemblea si reputa sempre regolarmente costituita quando è rappresentato l’intero capitale sociale e vi partecipa «la maggioranza dei componenti degli organi (…) di controllo».
Così il Tribunale ha respinto la domanda della socia, che ha condannato a pagare 9mila euro per spese di lite. Antonino Porracciolo

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