SENTENZE: Divorzio, l’accordo si cambia in due (Il Sole 24 Ore)

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Tribunale Caltanissetta. Le condizioni economiche concordate dagli ex coniugi
Divorzio, l’accordo si cambia in due

Le condizioni di separazione e di divorzio stabilite dai coniugi si possono revocare solo per mutuo dissenso o in base a una pronuncia che le dichiari invalide. È la conclusione cui giunge il Tribunale di Caltanissetta (presidente Cammarata, relatore Sole) in una sentenza depositata il 22 febbraio.
Il processo era iniziato su ricorso del marito nelle forme del divorzio giudiziale. Davanti all’istruttore le parti avevano poi concordato che l’uomo avrebbe versato alla donna 100 euro mensili di assegno di mantenimento. All’udienza di precisazione delle conclusioni la moglie dichiarava, però, di revocare il consenso, sostenendo di non essere stata a conoscenza dei redditi del marito e della «rilevante sperequazione» delle rispettive condizioni patrimoniali; chiedeva quindi la prosecuzione del processo secondo il rito del divorzio contenzioso per ottenere almeno 500 euro al mese.
Il Tribunale osserva che il procedimento di scioglimento del matrimonio (o di cessazione degli effetti civili) può essere giudiziale o congiunto. In caso di condizioni concordate dai coniugi occorre la verifica del giudice, sicché gli effetti della convenzione «sorg eranno solo a seguito della pronuncia del Tribunale»; il controllo è, comunque, limitato alla «rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli», come previsto dall’articolo 4, comma 16, della legge sul divorzio (la n. 898/1970).
Nel caso in esame, l’accordo era trascritto nel verbale di udienza e firmato dalle parti, dunque non può esservi dubbio sulla sua validità; inoltre, il chiaro contenuto delle condizioni non consente di ritenere che i coniugi si volessero limitare a una mera dichiarazione di intenti. Il giudice ricorda quindi – citando la sentenza 7450/2008 della Cassazione – che il patto sottoscritto dalle parti ha natura negoziale, «il che rende applicabili le norme generali che disciplinano la materia contrattuale», in particolare quelle sui vizi della volontà.
Per far venir meno l’efficacia dell’accordo non basta, dunque, la revoca del consenso di un solo coniuge, ma occorre il mutuo dissenso: «insomma – conclude il Tribunale -, un mero ripensamento circa la convenienza o la “giustizia” di un accordo» non blocca l’efficacia giuridica del vincolo negoziale. Inoltre, la validità può esser messa in discussione se c’è una causa di nullità o annullabilità. L’errore di valutazione affermato dalla resistente non si può esaminare nel giudizio di divorzio, ma va fatto valere con «un’autonoma azione ex articolo 1441 del Codice civile» in un ordinario giudizio di cognizione. Peraltro, l’accordo raggiunto dalle parti «riguarda esclusivamente l’assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi» e non concerne l’interesse dei figli, sicché è escluso qualunque controllo di merito del Tribunale.
In base a queste premesse, i giudici concludono che non ci sono le condizioni per proseguire la causa nelle forme del procedimento contenzioso; il divorzio è quindi pronunciato alle condizioni già sottoscritte dalle parti. Antonino Porracciolo

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