SENTENZE: Il divieto di iniziare o proseguire azioni va fino alla chiusura (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

La liquidazione del patrimonio. Tribunale di Verona
Il divieto di iniziare o proseguire azioni va fino alla chiusura

La liquidazione del patrimonio del debitore in crisi, inteso quale procedimento alternativo rispetto all’accordo di composizione della crisi e al piano del consumatore, è disciplinata dagli articoli dal 14-ter al 14-terdecies della legge 27 gennaio 2012 n. 3. Si tratta di un impianto normativo che, pur con le necessarie peculiarità, ripropone dinamiche e meccanismi propri della procedura fallimentare: una sorta di editio minor del fallimento, destinata a quei debitori che non posseggono i requisiti di fallibilità e che non sono in grado di formulare una proposta di composizione della crisi idonea a preservare, in tutto o in parte, il patrimonio personale.
Va detto che alla procedura di liquidazione si può anche pervenire in una seconda fase quando, su istanza dello stesso debitore o di uno dei creditori, venga disposta la “conversione” di un accordo di composizione o di un piano del consumatore le cui aspettative di buon esito, per varie ragioni (annullamento o risoluzione dell’accordo di composizione, oppure cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore), siano andate frustrate.
Che il procedimento di liquidazione si ispiri al fallimento è questione di immediata percezione, tenuto conto che il liquidatore sarà chiamato a redigere lo stato passivo, così come dovrà procedere ad inventariare i beni del debitore e ad elaborare il conseguente programma di liquidazione. Al pari di quanto accade in caso di epilogo fallimentare, poi, si realizza lo spossessamento del debitore, posto che l’amministrazione dei beni che compongono il patrimonio viene per intero devoluta al liquidatore.
In un assetto normativo così chiaramente orientato s’inserisce, in maniera del tutto distonica, la previsione contenuta nell’articolo 14-quinquies, ove viene previsto che le azioni cautelari ed esecutive non possano essere iniziate o proseguite «sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo». L’inciso disorienta perché, semplicemente, la procedura di liquidazione, così come quella di fallimento, non prevede alcuna omologa.
Si tratta di un refuso in cui il legislatore è con tutta probabilità incappato assecondando una certa propensione reiterativa, se solo si considera che già nei precedenti articolo 10 e 12-bis l’arco di tutela dalle iniziative esecutive del debitore che abbia proposto un accordo di composizione della crisi o un piano del consumatore è individuato con la medesima locuzione.
In ambito giurisprudenziale, per quanto consta, la discrepanza è tendenzialmente passata inosservata (il Tribunale di Monza, per esempio, ha a più riprese indicato la definitività del provvedimento di omologazione quale termine di protezione – si vedano le pronunce del 9 maggio 2013 e del 14 dicembre 2015) fino a quando, opportunamente sollecitato da un debitore attento, con un decreto del 4 luglio 2016 il Tribunale di Verona ha rilevato che, in effetti, la procedura di liquidazione non contempla alcun provvedimento di omologazione e che, per tale istituto, il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali dovrà essere esteso fino al decreto di chiusura della procedura, proprio come accade in caso di fallimento.
Enrico Comparotto

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