IL SOLE 24 ORE
Corte d’appello di Catania. Il segreto chiesto dalla partoriente cade con la morte e il figlio biologico può conoscere l’identità della donna
La madre resta anonima solo se è viva
Via libera, con la morte della madre che aveva espresso la volontà di restare anonima, alla ricerca, da parte del figlio, delle proprie origini biologiche: il decesso della titolare del diritto all’anonimato toglie ogni paletto. Lo afferma la Corte di appello di Catania, con decreto del 13 gennaio 2016.
Protagonista una donna nata da parto anonimo, desiderosa di conoscere l’identità materna. Desiderio inizialmente negato dal Tribunale, per il divieto sancito dall’articolo 28 della legge sulle adozioni (184/1983), costato all’Italia, peraltro, una condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Godelli contro Italia): l’impedimento assoluto a far luce sulle proprie origini, che non contempli neanche la possibilità di verificare la persistenza della volontà della madre a mantenere l’anonimato, viola, secondo i giudici di Strasburgo, il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione per i diritti dell’uomo. Rilievo recepito dalla Consulta che, con sentenza 278/2013, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 28, nella parte in cui non prevede la facoltà per l’adottato di far cercare e interpellare la madre in via riservata, per sapere se intenda mantenere l’anonimato.
Forte di tali decisioni, la signora ha proseguito nella sua lotta giudiziaria e il caso, tra decisioni contrastanti e rimbalzi di pronunce, è arrivato alla Corte d’appello di Catania. Che, sopraggiunta la morte della madre, ha dato l’ok a svelare l’identità materna.
Nel “catalogo aperto” dei diritti fondamentali dell’uomo, tutelati dall’articolo 2 della Costituzione – puntualizza la Corte – va compreso «il diritto alla identità personale dell’individuo, di cui un aspetto è certamente la conoscenza della proprie origini, qualora la identità giuridica dell’individuo sia stata scissa dalla sua identità biologica». Diritto che, però, per i giudici va bilanciato col diritto all’anonimato della madre. Ecco perché la riconosciuta facoltà per il nato da parto anonimo di promuovere la ricerca delle proprie origini deve arrestarsi di fronte alla volontà materna di mantenere l’anonimato. Quindi – così come «la revoca della scelta di non essere nominati, vivente la madre, estingue volontariamente il diritto e rimuove il limite all’esercizio del diritto del figlio» – deceduto il titolare del diritto all’anonimato, esso «si estingue in uno con la persona stessa e non è più necessaria né doverosa alcuna operazione di bilanciamento». Si motiva così la scelta della Corte di consentire alla donna l’accesso alle informazioni.
Diritti più ampi per il figlio adottato, o comunque non riconosciuto, sono attesi dal Senato, chiamato a vagliare la proposta di legge n. 1978, approvata dalla Camera il 18 giugno 2015, tesa a consentire al maggiorenne di rivolgersi al Tribunale per avere notizie sulle sue origini, ove la madre naturale abbia revocato l’anonimato o sia deceduta. Selene Pascasi