IL SOLE 24 ORE
L’errore nel rito congela i termini per l’impugnazione
Il ricorso presentato nelle forme previste dalla legge Fornero (n. 92/2012) blocca i termini di decadenza per l’impugnazione del licenziamento, anche se il giudice dichiara l’inammissibilità della domanda per erronea scelta del rito. È questo l’orientamento della magistratura del lavoro di Firenze di primo e secondo grado.
Nel luglio 2012 la ricorrente era stata licenziata per cessazione dell’attività della Srl sua datrice di lavoro. Il provvedimento era stato impugnato secondo il rito Fornero, ma nel giugno 2013 il Tribunale di Firenze aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso ritenendo che la fattispecie non rientrasse tra le ipotesi disciplinate dalla nuova normativa. Così nel dicembre 2013 la donna si è nuovamente rivolta al giudice toscano, questa volta mediante l’ordinario procedimento previsto per le cause di lavoro. La Srl e la sua cessionaria hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso perché proposto oltre il termine di decadenza previsto dall’articolo 6 della legge 604/1966.
Nel disattendere l’eccezione il tribunale (giudice Rizzo) ha osservato che è irrilevante («rispetto ai termini decadenziali previsti in caso di impugnativa del recesso») la circostanza che nell’altra causa si fosse esclusa l’applicabilità del rito Fornero. Infatti, la ricorrente si era comunque «attivata tempestivamente nell’introdurre il giudizio» diretto a impugnare il licenziamento, «così impedendo, una volta per tutte, la decadenza». Secondo il Tribunale, l’eccezione proposta dalle convenute «è in evidente contrasto con i principi del giusto processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale costituzionalmente garantiti». Ciò perché la pronuncia di inammissibilità non era «imputabile a inerzia o grave negligenza dell’attore», ma – prosegue la motivazione – a «una oscurità della legge, che non può poi ritorcersi ulteriormente» contro il lavoratore. Altrimenti si arriverebbe alla conclusione che la legge Fornero, «nella parte in cui disciplina il rito speciale di impugnativa dei licenziamenti, sarebbe incostituzionale» perché rappresenterebbe non «uno strumento di tutela», ma «un mezzo volto a ostacolare i diritti di difesa dei più deboli». Nel merito, il giudice dichiara la nullità del licenziamento e condanna la cessionaria a reintegrare la ricorrente.
Nel respingere il gravame con sentenza del 14 aprile 2015, la Corte d’appello di Firenze (presidente Bronzini, relatore Liscio) ha affermato che la decisione solo su una questione di rito determina un giudicato formale (circoscritto al «rapporto processuale nel cui ambito è emanata») e dunque non produce gli effetti del giudicato in senso sostanziale. Di conseguenza, una «pronuncia di inammissibilità, che preclude ogni statuizione di merito sul diritto azionato, legittima la parte istante a riformulare l’azione». Nel caso esaminato, la decadenza era stata impedita dalla presentazione del ricorso secondo il rito Fornero. Infatti, l’atto introduttivo, sebbene inidoneo a produrre effetti in quel processo, mantiene – si legge nella decisione d’appello – il suo significato di «manifestazione della volontà dell’attore di esercitare in giudizio il proprio diritto».
Anche nel merito, i giudici d’appello confermano quindi l’illegittimità del licenziamento, ritenendolo privo di una giustificazione oggettiva. Antonino Porracciolo