IL SOLE 24 ORE
Tribunale di Perugia. Se il risarcito, in un secondo momento, è riconosciuto in parte responsabile del danno
No al sequestro alla parte offesa
Il giudice civile non può decidere prima che finisca il giudizio penale
Il giudice civile non può autorizzare il sequestro conservativo sui beni della parte offesa per bloccare la condanna al risarcimento del danno pronunciata nel processo penale. È la conclusione a cui è giunto il Tribunale di Perugia (giudice Ilenia Miccichè) in un’ordinanza dello scorso 17 maggio.
Il provvedimento riguarda una vicenda che nasce nel 2015, quando un Tribunale veneto aveva condannato il rappresentante e il delegato alla sicurezza di una Srl a una pena detentiva per l’infortunio sul lavoro subìto da un uomo; con la stessa pronuncia, il Tribunale aveva inoltre condannato la società al risarcimento del danno, rimettendo le parti davanti al giudice civile per la relativa liquidazione. Successivamente, la Srl aveva pagato la provvisionale di 100mila euro disposta dalla sentenza.
La società ha, allora, iniziato un giudizio civile, chiedendo al Tribunale di Perugia di dichiarare la responsabilità concorrente o esclusiva del lavoratore nella determinazione dell’infortunio, con la conseguente condanna di questi alla restituzione di quanto l’azienda aveva pagato in più rispetto all’importo dovuto. La stessa Srl ha poi presentato ricorso per sequestro conservativo (articolo 671 del Codice di procedura civile) del conto corrente dell’uomo, prospettando il rischio di non recuperare la somma già pagata in caso di accertamento di un minor danno.
Nel decidere la richiesta, il Tribunale osserva che la questione di merito (relativa a un’eventuale corresponsabilità del lavoratore) è all’esame del giudice penale in grado d’appello, e dunque «non può essere autonomamente vagliata anche in sede civile».
Infatti, l’unico caso in cui il Codice di procedura penale consente, per gli stessi fatti, il contestuale svolgimento di giudizio civile e processo penale è quello previsto dal comma 2 dell’articolo 75; norma per la quale «l’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile».
E, se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale (o dopo la sentenza penale di primo grado), il processo civile – dispone il comma 3 dello stesso articolo 75 – è sospeso sino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione. Tant’è che, per evitare il rischio di giudicati contrastanti, l’articolo 651 del Codice di procedura penale dispone che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per il risarcimento del danno.
Secondo il Tribunale, i limiti alla possibilità di iniziare una causa civile durante il processo penale vincolano non solo la parte offesa, ma anche l’imputato e il responsabile civile. Altrimenti «si finirebbe per consentire a questi ultimi di spostare a piacimento in questa o quella sede la questione dell’accertamento della responsabilità (o dell’assenza di responsabilità)». E peraltro, a tutela della parte obbligata al risarcimento, l’articolo 600, comma 3, del Codice di procedura penale (intitolato «Provvedimenti in ordine all’esecuzione delle condanne civili») prevede che, su richiesta di responsabile civile o imputato, il giudice d’appello possa sospendere l’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale quando ricorrono gravi motivi.
Così il Tribunale ha rigettato la richiesta di sequestro. Antonino Porracciolo