IL SOLE 24 ORE
Separazioni. Se non è provata la destinazione a dimora familiare
Non va al coniuge la casa avuta in comodato da terzi
Lun.16 – No all’assegnazione della casa familiare al coniuge separato con cui vive il figlio minorenne se l’immobile è stato concesso in comodato da un terzo e il contratto non prevede la destinazione del bene a residenza familiare. È quanto emerge da un’ordinanza del Tribunale di Aosta (giudice Colazingari) del 13 gennaio. Il provvedimento è stato pronunciato all’esito della fase presidenziale di una causa di separazione. Il giudice ha innanzitutto disposto l’affidamento condiviso del figlio minorenne «con collocazione prevalente presso la madre», determinando i tempi per gli incontri periodici con l’altro genitore. L’ordinanza ha quindi stabilito che il padre contribuisca al mantenimento del figlio con un assegno mensile di 350 euro. La moglie aveva domandato anche l’assegnazione della casa familiare; si trattava di un immobile concesso in comodato dai genitori del marito, che ne avevano poi chiesto il rilascio.
Nel dichiarare «non luogo a provvedere in ordine alla casa coniugale», il Tribunale ricorda che nel contratto di comodato di un immobile, concluso senza la previsione di un termine finale, «la volontà di assoggettare il bene a vincoli d’uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positivamente accertata»; di conseguenza, se non si raggiunge la prova di questa finalità, deve «essere adottata la soluzione più favorevole» per il comodante e quindi va disposta la cessazione del rapporto di comodato.
Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto di escludere che esistano «elementi per affermare che il contratto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare»; la ricorrente dovrà dunque «reperire altra abitazione».
Sulla questione esaminata dal giudice di Aosta, la Cassazione ha chiarito che il comodato di un bene immobile, espressamente stipulato senza limiti di durata a favore di un nucleo familiare, è vincolato alle esigenze abitative familiari; il comodante deve quindi concedere l’immobile anche dopo l’eventuale crisi coniugale, a meno che non intervenga un suo urgente e imprevisto bisogno (articolo 1809, comma 2, del Codice civile). In questo caso, il giudice deve esercitare «con massima attenzione – si legge nella sentenza 24618/2015 della Cassazione – il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante». Tutela che si fonda sulla necessità di garantire ai figli la conservazione dell’«habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (Cassazione, sentenza 13065 del 2002). Antonino Porracciolo