IL SOLE 24 ORE
Concordato preventivo. Decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere considera ammissibile il piano
Pagamento dell’Iva solo parziale
Milano. Va considerato ammissibile il piano di concordato preventivo che prevede il pagamento solo parziale del credito Iva. Lo stabilisce un decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17 febbraio. Il provvedimento si pone in contrasto con quanto affermato sia dalla Corte di cassazione sia dalla Corte costituzionale (sentenza n. 225 del 2014), ma in sintonia con quanto affermato dall’Avvocato generale della Ue nelle conclusioni nella causa C-546/14.
Per l’avvocato generale, infatti, al sistema comunitario in materia di Iva non sono d’ostacolo norme nazionali che permettono a uno Stato membro di accettare un pagamento parziale del debito da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria nel corso di un concordato preventivo fondato sulla liquidazione del suo patrimonio. A condizione che un esperto indipendente attesti che non si otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento.
«Se infatti – osserva la pronuncia della Terza sezione civile – è possibile che un concordato preventivo comporti il pagamento di una porzione maggior del debito Iva rispetto a quanto accadrebbe in caso di fallimento, il contrario può non essere vero. Nello scenario fallimentare o comunque liquidatorio alternativo al concordato, ove il soggetto passivo si trovi in uno stato di difficoltà finanziaria tale da non riuscire a soddisfare tutti i creditori, potrebbe infatti accadere che il credito Iva ottenga, in ragione del suo rango, una soddisfazione nulla o inferiore rispetto a quanto previsto nel piano concordatario».
La procedura di concordato allora, non porta con sè una rinuncia generale al potere dell’amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti Iva ma “solo” una rinuncia parziale che, per i giudici, è del resto coerente con la raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014, con la quale veniva sollecitata la rimozione degli ostacoli che impediscono la ristrutturazione delle imprese sane ma in difficoltà finanziaria.
Nel caso preso in esame, l’alternativa della liquidazione avrebbe come conseguenza una minore percentuale di soddisfazione rispetto a quella offerta dal concordato: le risorse dell’imprenditore non sono infatti sufficienti a pagare integralmente tutta la platea dei creditori privilegiati e soprattutto non permettono di soddisfare il credito Iva.
Cosa cambia invece con il concordato? I giudici mettono in evidenza il ruolo determinante che assume l’apporto di finanza esterna. Apporto che permette la massima riscossione possibile, tutelando in questo modo anche gli interessi erariali e comunitari.
A questo proposito, per tornare alle conclusioni dell’Avvocato generale, una disposizione di diritto nazionale non può essere ritenuta incompatibile con l’obbligo di garantire l’effettiva riscossione delle risorse dell’Unione, qual è l’Iva, perchè sceglie un mezzo piuttosto di un altro per ottenere il massimo risultato possibile.
«Alla luce di tali considerazioni – precisa l’ordinanza – ritiene il collegio che l’articolo 182-ter della Legge fallimentare laddove prevede che non possono costituire oggetto di transazione l’Iva e le ritenute operate e non versate, è da intendersi come norma di carattere eccezionale, e come tale non suscettibile di interpretazione estensiva e di applicazione analogica, ed operante solo allorquando contestualmente al piano di cui all’articolo 160 Legge fallimentare venga proposta la transazione fiscale». Giovanni Negri