IL SOLE 24 ORE
Consiglio di Stato. Per il curatore
Riassunzione cause dalla conoscenza di fallimento e lite
Con sentenza n. 4136 del 6 ottobre scorso, il Consiglio di Stato si inserisce nel dibattito sull’individuazione del dies a quo, per il curatore fallimentare, di decorrenza del termine per la riassunzione del giudizio interrotto ai sensi dell’articolo 43 della Legge fallimentare. Vi si stabilisce che esso decorre dalla conoscenza legale, da parte del curatore, dell’evento interruttivo (sentenza di fallimento) e dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare.
La vertenza era tra un Comune e la concessionaria del servizio idrico integrato, fallita in pendenza dell’appello. Il Comune, che già aveva proposto istanza di insinuazione al passivo, aveva poi chiesto la declaratoria di estinzione del giudizio, rilevando che il curatore non aveva riassunto il giudizio entro il termine di legge decorrente dal momento in cui egli aveva appreso della pendenza dell’appello. La società aveva invece chiesto l’interruzione del procedimento, nell’ottica di riassumerlo quale fallimento entro il termine decorrente dalla pronuncia di interruzione. L’appello era volto, tra l’altro, a chiedere la condanna dell’ente a risarcire il danno. Vi era pertanto interesse a mantenere attivo il giudizio a fini di tutela della massa creditoria.
Il Consiglio di Stato ha sposato la tesi del Comune. Gli articoli 79, comma 2, e 80, comma 3, del Codice del processo amministrativo dispongono che l’interruzione del processo è disciplinata dal Codice di procedura civile e che il processo va riassunto nel termine perentorio di 90 giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo. Ma di cosa il curatore deve avere legale conoscenza ai fini della decorrenza del termine?
Secondo un avviso molto gravoso per il curatore, il termine dovrebbe partire dalla sentenza dichiarativa di fallimento o al più dalla formale comunicazione della sentenza (Tribunale di Milano, ordinanza 26 maggio 2014). Un inedito orientamento ha, poi, adottato un’impostazione non aprioristica, ma fondata sulle circostanze concrete del caso. È stato, così, rilevato che l’interruzione provocata dalla sentenza dichiarativa di fallimento opera automaticamente, mentre per individuare il dies a quo per la riassunzione da parte del curatore va verificato se egli abbia avuto tempestiva conoscenza dell’esistenza del processo da riassumere o se comunque la pendenza del medesimo fosse conoscibile secondo parametri di diligenza professionale (Tribunale di Pavia, sentenza 31 marzo 2016). In una situazione di normalità di rapporti tra curatore ed amministratore della società in bonis, il primo dovrebbe essere informato del contenzioso pendente alla data del fallimento.
Secondo un distinto orientamento, il curatore sarebbe onerato di riassumere i giudizi pendenti entro il termine decorrente dalla data di legale conoscenza del procedimento da riassumere. Ai fini del decorso del termine occorrerebbe non solo la conoscenza dell’evento interruttivo (dichiarazione di fallimento), ma anche la conoscenza del giudizio su cui l’effetto interruttivo dovrà operare (Cassazione, sentenza, 7 marzo 2013, n. 5650).
In tale ottica, il dies a quo è stato fatto coincidere con la presentazione dell’istanza di ammissione al passivo formulata dalla controparte del fallimento per gli importi dovuti in forza della sentenza relativa al primo grado del medesimo giudizio.
Il Consiglio di Stato, con pronuncia destinata a fare giurisprudenza in ambito amministrativo, ha aderito all’indirizzo della Cassazione. Nella fattispecie, è stato ritenuto che entrambe le condizioni si fossero realizzate e il termine è stato fatto partire dal deposito delle osservazioni al progetto di stato passivo, ove il Comune aveva rappresentato al curatore la pendenza dell’appello poi dichiarato estinto. Giuseppe Franco Ferrari