LIBERO
L`assurda odissea dei condannati in attesa di esecuzione
I fantasmi della giustizia lumaca
«Pietà, fatemi scontare la pena»
Prende 18 mesi per un reato amministrativo, domanda per i servizi sociali
«Ma aspetto da più di un anno: la mia vita è bloccata». Tantissimi come lui
«Vi prego, fatemi scontare la mia pena: mi state rovinando la vita!». Un paradosso? Macché, provate a immaginare: una persona effettivamente
condannata dopo un lunghissimo iter giudiziario – e lasciamo da parte il merito del procedimento, basti sapere che si tratta di un reato amministrativo
di lieve entità, niente a che vedere con i criminali da allarme sociale: 18 mesi con la possibilità di affidamento ai servizi sociali.
E però, a quasi un anno e mezzo dal verdetto, le lungaggini burocratiche non permettono che cominci a scontare quanto stabilito. Con tutto quel che ne consegue: impossibile programmare la propria esistenza, accettare un lavoro
che dovrebbe poi lasciare, magari trasferirsi con la famiglia. Le cose più comuni, la vita quotidiana. Tutto bloccato. Perché non gli fanno scontare la pena.
«RATE TUTTE PAGATE»
Mario – il nome è di fantasia, «non voglio creare problemi ai miei» – non ne può più di aspettare. Cinquant`anni, l`espressione insofferente ed esausta
di chi ha voglia di voltar pagina. Lo incontriamo nello studio del suo avvocato, nel centro di Milano. È arrivato in bicicletta: «Non ho la macchina, vivo
con poco più di mille euro al mese. Nessun vittimismo, figuriamoci, ma insomma…». E spiega: «È più di un anno che aspetto di scontare la pena che
il tribunale mi ha assegnato con una sentenza passata in giudicato. Non chiedo sconti: solo di poter mettere fine a quest`epopea giudiziaria». E senza
toni afflitti, anzi cercando di sorriderci, racconta una vicenda di faldoni, scartoffie, carte bollate.
E tempo perso. I guai con la giustizia per lui iniziano nel 2009, la sua azienda
fallisce e Mario perde tutto. «Ho preferito pagare i fornitori piuttosto che lo Stato, pensavo avrei regolato la mia posizione quando le cose sarebbero migliorate.
Si chiama “bancarotta preferenziale”, è un reato amministrativo, l`ho scoperto dopo». Accende una sigaretta, alza le sopracciglia. «Con il curatore
fallimentare avevo trovato un accordo, ho sempre pagato le rate di quella trattativa fino all`ultimo centesimo. Alla scadenza, però, ha deciso di portarmi in giudizio per la parte penale. Da allora, un incubo».
Tutto è andato storto. «Peraltro il fallimento dell`azienda è coinciso con un momento in cui avevo un problema col bere. Nel cassetto ho due certificati
medici che attestano che sono uscito da periodi di alcolismo difficili. Non vuol essere una scusa, giusto per inquadrare tutta la situazione. A un certo punto, però, ho incontrato una donna fantastica, mi sono innamorato. Ci siamo sposati, abbiamo fatto due bambini, sono del tutto rientrato nei ranghi.
Cioè: l`uomo che ha avuto quei problemi è del tutto diverso da quel che sono adesso, è passato quasi un decennio, so di casi in cui della redenzione è
stato tenuto conto. E invece non riesco a voltar pagina, la burocrazia me lo impedisce». Già: il tribunale di Milano, come detto, lo condanna a un anno
e sei mesi di carcere il 16 dicembre del 2014, il timbro formale arriva un mese dopo, il 16 gennaio 2015. «Un ritardo fisiologico – lo definisce l`avvocato,
– sarebbe dovuto arrivare in 15 giorni, ma c`erano le feste…», e sorride: è normale, nel Paese della giustizia lumaca.
MESI SU MESI
Poi però passano altri mesi. Occhio alla tempistica: l`emanazione dell`ordine di esecuzione della pena arriva solo il 12 settembre dell`anno scorso, al suo avvocato viene notificata qualche settimana dopo (il 28 settembre), a Mario il 1° ottobre. Ripetiamo, condanna del 16 dicembre 2014, esecuzione finita di notificare il 1° ottobre 2015. Mario non si perde d`animo, presenta istanza per accedere alle misure alternative al carcere (non può usufruire della condizionale, a 20 anni è già stato condannato per reati amministrativi minori). E dal 29 ottobre 2015 – quasi cinque mesi fa! – aspetta che venga fissata l`udienza per discutere il suo caso davanti al tribunale di sorveglianza
di Milano. Tutto fermo, non si muove cartella. Pendendogli sul capo la spada
di Damocle dei ritardi giudiziari, Mario non riesce più a fare un progetto di vita. «Ho trovato un lavoro serale, faccio volontariato in un ente e mi piace
molto: ma la testa è sempre lì. Chiedo solo il riconoscimento del mio diritto a scontare la pena, per riabilitarmi anche formalmente davanti alla società.
Appena tutto finirà, mi piacerebbe trasferirmi all`estero». Potrebbe farlo anche ora: per lo Stato, finché il tribunale di sorveglianza non decide, è un uomo libero. Ma dovrebbe poi rientrare per scontare la pena.
E mica è un caso isolato, anzi. C`è pure una dicitura giuridica per questa situazione kafkiana: “condannati in attesa di esecuzione”. Alcuni sono già in carcere: arrestati in flagranza di reato, per esempio, e condannati con sentenza definitiva, ma aspettano il certificato che attesti il loro “status” di detenuto – e dunque, per dirne una, non possono accedere alle attività
esterne del carcere. Mario sospira: «Aspettare così tanto per scontare una pena è umanamente inaccettabile».
Il problema è a monte, sulle scrivanie dei magistrati di sorveglianza. Sono 29 le corti italiane adibite a questo, 191 giudici in servizio (dato fine 2015) che
devono occuparsi di 52.846 carcerati (fonte ministero, febbraio 2016). Neanche 200 magistrati che, al contempo, sono chiamati ad accertare caso per caso la condizione giuridica di tutti i condannati d`Italia per avviare il corretto iter giuridico: affidamento ai servizi sociali, misure di sicurezza, ammissione al lavoro esterno e via dicendo.
Va da sé che ritardi come quello che sta logorando la vita di Mario siano la regola. «I tempi della giustizia sono insostenibili» conferma l`avvocato radicale Raffaele Minieri del foro di Napoli: «Aspettando un ordine
di esecuzione che non è ancora arrivato, un mio assistito ha finito per scontare agli arresti domiciliari più di quanto dovesse a fronte del computo dei mesi di liberazione anticipata.
E vista l`impossibilità di sospendere l`ordine di esecuzione, rischia di dover prima andare in carcere e li aspettare l`udienza per il riconoscimento dei giorni che ha già fatto».
CAMERE PENALI
Dati certi non ce ne sono. Il ministero della Giustizia fornisce i numeri delle misure alternative (al 31 gennaio concesse 32.273), ma su quei ritardi del-
la vergogna tace. Le Camere Penali di Bologna hanno chiesto informazioni per «monitorare prassi e tempistica di evasione delle istanze presso ciascun tribunale di sorveglianza». Risultato: zero. A farne le spese è gente come Mario, con la vita giuridicamente in stand-by. «Del fenomeno conosciamo i
singoli casi» chiarisce l`azzurro Arturo Diaconale, presidente del Tribunale Dreyfus e responsabile del settore malagiustizia per i Club Forza Silvio: «Assieme alla vergognosa questione della carcerazione preventiva questo è il secondo aspetto della malagiustizia italiana, ossia l`assoluta incertezza di una
condanna già emessa: chi sta in queste condizioni non sa come e quando riuscirà a scontare la pena». CLAUDIA OSMETTI