IL SOLE 24 ORE
Giustizia. Magistrati a confronto su sicurezza e diritti fondamentali
Terrorismo, cade il totem degli «schemi» del passato
Dom.13 – Pisa. Avreste mai detto che il terrore è figlio della guerra e dell’amore? Eppure, se andiamo alle radici mitologiche della parola terrorismo, è questo che scopriamo: Deimos, che in greco arcaico significa terrore, è il figlio di Ares, dio della guerra, e di Afrodite, dea dell’amore. C’è dunque una fondamentale «ambivalenza» nella parola terrorismo, spiega Umberto Curi, storico della filosofia, alla platea di super esperti, nazionali e internazionali, di terrorismo (magistrati, giuristi, politologi, filosofi e giornalisti) riuniti a Pisa da «Magistratura democratica» per discutere di «Terrorismo internazionale, politiche della sicurezza e diritti fondamentali», nell’intento di sbrogliare la matassa di un fenomeno che, malgrado la sua globalità, ancora non trova risposte globali univoche ma, semmai, contrastanti e contrapposte, ora nel segno della sicurezza ora in quello della tutela dei diritti fondamentali. Matassa intricata anche per chi, come l’Italia, non ha subito gli attentati sanguinari consumati altrove e tuttavia vive in «un clima di sottintesa paura» – per dirla con lo storico Adriano Prosperi – che «frena l’approvazione di leggi come quella sulla tortura». Da qui una serie di interrogativi sul ruolo della magistratura nella strategia antiterrorismo, in uno scenario europeo che ha di fatto marginalizzato la giurisdizione e la cooperazione giudiziaria (vedi, da ultimo, la Francia) in favore di altre opzioni, militare e di polizia. E il confronto rivela, al di là della comune condivisione della tutela dei diritti fondamentali, inedite divergenze tra Pm di consolidata esperienza antiterrorismo, come Giovanni Salvi e Armando Spataro, con il primo che rompe il totem degli «schemi del passato», usati con successo contro il terrorismo degli “anni di piombo”. «È l’alterità del terrorismo islamico – avverte – la minaccia più grave al mantenimento delle nostre libertà, e se la affrontiamo con gli strumenti del passato corriamo il rischio, al primo grave attentato, di essere travolti».
In sostanza: siamo di fronte all’«islamizzazione della radicalità», come dice Curi, oppure alla «radicalizzazione dell’islamismo», come sostiene Salvi? Il procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma esclude che l’ottica della giurisdizione sia vincente. «L’approccio dev’essere più ampio e impone la conoscenza dell’ispirazione religiosa del terrorismo islamico, del suo humus culturale, per tarare gli strumenti investigativi più adatti. Che non abbiamo», afferma. Va quindi «ripensato il rapporto tra giurisdizione e prevenzione, senza impedire la raccolta di informazioni, ovviamente con modalità corrette». Ma secondo il Procuratore di Torino, «milioni di dati raccolti non servono a niente e non danno risultati, né in prevenzione né in repressione. Spataro rivendica l’esperienza del passato, «da aggiornare», e ritiene che l’attività di prevenzione delle agenzie di informazione dev’essere «rigidamente sottoposta a controllo. Non sono ammesse zone grigie». Franco Ippolito, giudice di Cassazione che interviene in chiusura come presidente del Tribunale dei popoli, dubita della «lettura che àncora l’esplosione del terrorismo islamico al fenomeno religioso. Sono più d’accordo – dice – con chi sostiene che siamo di fronte a un’islamizzazione della radicalità. È giusto, tuttavia, non restare legati ad analisi del passato e cercare di costruire strumenti nuovi».
Ulteriore sollecitazione viene da Massimo Donini, ordinario di diritto penale a Modena: la giurisdizione non è la risposta al terrorismo internazionale di matrice islamica perché rischia di trasformarsi in uno «strumento di lotta» in cui il giudice «diventa necessariamente parte del conflitto, e non terzo imparziale». «I guerriglieri di Daesh sono avversari istituzionali, non meri “criminali” – osserva – e la doppia risposta, giurisdizionale e non, giova anche all’autonomia della giurisdizione, al suo non coinvolgimento nella funzione di lotta di qualche nemico». Donatella Stasio