LA NUOVA SARDEGNA
Il ministro Orlando salva i tribunali: «Nessun taglio in Sardegna»
L’esponente del governo Renzi a Cagliari assicura che non cambierà la geografia giudiziaria sarda. E sulla fuga dello Stato: «A pagare il conto sono i cittadini, serve un’alternativa»
Dom.28 – CAGLIARI. C’è da fidarsi di un ministro che, poco tempo fa, confessava candido: «Da piccolo, volevo fare il muratore»? Sì, perché nel guardasigilli Andrea Orlando pare sia rimasta intatta la stessa voglia di costruire «uno Stato che non arretra e vuole essere sempre più vicino alla gente», però «i cittadini devono credere nelle istituzioni» e «partecipare, soprattutto i giovani, altrimenti più si allontanano più la politica finirà sotto il controllo di pochi». Il ministro della Giustizia l’ha detto prima, durante e dopo il confronto, a Cagliari, con gli studenti delle scuole superiori e universitari sulla «cultura della legalità», con diversi accenni anche su libertà, senso civico e diritti – leggi le recenti Unioni civili – «finalmente conquistati semmai con difficoltà, ma comunque portati a casa com’era giusto che fosse».
Nessuna picconata. Non vuole demolire e neanche rottamare, Orlando, visto che, seppure in quota minoranza Pd, fa parte eccome del governo Renzi, ma spesso dichiara idee diverse da quelle del premier-segretario almeno sul partito e qualche volta sulle strategie. Niente macerie da portar via. A cominciare da quelle dei tribunali a rischio chiusura: Oristano, Tempio e Lanusei. «Non è una questione sul mio tavolo», ha risposto a una delegazione arrivata preoccupata dall’Ogliastra. «Semmai potrebbe esserci un ritocco di qualche confine territoriale, però non dovrebbero interessare la Sardegna», ha precisato. Neanche la sezione distaccata della Corte d’appello di Sassari sarebbe in pericolo: non diventerà autonoma, ma nemmeno riassorbita all’improvviso dalla sede cagliaritana ed è un altro sospiro di sollevo. Non ci saranno stravolgimenti – è possibile aggiungere per ora? – nonostante le indiscrezioni sul dossier in arrivo dalla commissione Vietti (ex presidente del Consiglio superiore della magistratura) impegnata dall’anno scorso a ridisegnare gli uffici giudiziari dalle Alpi alle isole. A marzo, nuova scadenza per la consegna della bozza, si saprà se Orlando ha letto bene il futuro di chi continua a temere invece «la fuga dello Stato, taglio dopo taglio, per risparmiare ma a pagare il conto purtroppo sono solo i cittadini». Dal palco il ministro una replica ai timori se l’è concessa: «Ricordo a tutti e prima a me stesso che le istituzioni non sono aziende, non devono distribuire dividenti, ma servizi». Verità sacrosanta che dovrebbe essere riassunta e poi scolpita nelle stanze del potere per evitare qualche dimenticanza di troppo.
Nessuna arroganza. Con a fianco il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, Orlando ha ripetuto più volte: «La legalità ci rende più liberi e anche più ricchi». Fino a definirla una «lotta comune in difesa della democrazia». Soprattutto nelle zone interne della Sardegna, dove «gli attentati ai sindaci sono un attacco che dobbiamo debellare», ha detto nell’incrociare lo sguardo con quello di Gigi Littarru, Desulo, l’ultima vittima. «Lo Stato – ha detto il guardasigilli – deve fare la sua parte, essere presente, non può arretrare, Ma mi aspetto molto anche dalle comunità: la risposta più decisiva e forte deve arrivare dal basso». Con quella partecipazione e senso civico su cui Orlando crede molto: «Dobbiamo rispolverare un concetto basilare, presente nella Costituzione: «La Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che rendono i cittadini non uguali, però è la gente a dover alzare la posta e ciascuno di noi, se necessario, deve alzare la voce per ottenere quanto ci aspettiamo e ci spetta». La legge sulle Unioni civili, seppure senza le adozioni, è un’altra conquista: «Dopo anni e anni di melina, la politica ha capito che non poteva più nascondersi». Per chiudere la missione con un passaggio politico: «Non mi concentrerei sulla maggioranza che ha approvato la legge al Senato, ma sul risultato raggiunto, che è questo: nei diritti non siamo più ultimi in Europa». Umberto Aime