TRIBUNALI: La giustizia civile allunga il passo (Corriere di Bologna)

CORRIERE DI BOLOGNA

La giustizia civile allunga il passo

La via del processo telematico sta accorciando i tempi Molto resta da fare, anche se i tribunali dell’Emilia-Romagna registrano numeri migliori della media

 

Somministrata a piccole dosi, la rivoluzione del processo civile telematico, dopo l’ingresso in tribunale, giusto un anno fa, è arrivata al traguardo martedì 30 giugno scorso, con l’estensione alle Corti d’appello. Molto resta da fare prima di poter dire che il processo è davvero informatizzato, non solo… sulla carta. Di carta ne circola e ne circolerà ancora molta, a causa degli arretrati: in Italia 4,9 milioni nel solo processo civile (dai giudici di pace alla Cassazione), che dovrebbero scendere a 4,6-4,7 milioni quando saranno elaborati i dati al 30 giugno, quelli ai quali faranno riferimento le relazioni inaugurali dell’anno giudiziario. Benché in discesa, l’arretrato appare come una montagna, che fa sembrare un’oasi felice i tribunali dell’Emilia-Romagna con i loro 345 mila processi, 194.500 dei quali davanti al Giudice di pace, quasi 135mila nei nove tribunali (34 mila a Bologna) e oltre 15 mila (in aumento) in Corte d’Appello. Proprio come nel deserto, l’oasi è apparente, un miraggio. I numeri dicono che la fetta dell’Emilia-Romagna vale un 7%, pochi decimali in meno del peso della regione rispetto alla popolazione e alla superficie. Insomma, tutto nella media. Ma i numeri, in materia di giustizia, sono scivolosi, inattendibili. L’arretrato della Corte d’Appello, per esempio, ben oltre quota 17 mila secondo un più aggiornato censimento condotto dal dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria del ministero, rappresenta «appena» il 4% del totale nazionale (412.700 secondo lo stesso censimento). Ma il ministero lo addita come il 5° in Italia, appena inferiore alle 18.500 pendenze delle ben più grande Milano e alle 19.300 della disastrata Bari. Non è del tutto vero che la permanenza della carta sia causata dai vecchi processi. Lo scorso anno il processo civile telematico (Pct) ha debuttato con una norma all’apparenza bizzarra: l’obbligo di produrre atti per via telematica riguarda soltanto quelli successivi all’atto di citazione o al ricorso, e al primo atto difensivo della «parte convenuta». In pratica è partito zoppo, anche se gli avvocati più evoluti sul piano tecnologico hanno pensato che non fosse vietato inoltrare per via telematica anche il primo atto. La norma bizzarra ha trovato parziale rimedio pochi giorni fa, alla vigilia dell’entrata in vigore del Pct in corte d’appello. Il decreto legge 83/2015 del 27 giugno scorso ha riscritto la norma del 2012: non anticipa l’obbligo, ma concede almeno che l’inoltro telematico sia «sempre ammesso» anche per il primo atto. Una facoltà, per ora, per non gettare nello sconforto migliaia di avvocati e centinaia di magistrati non ancora pronti; e per non mettere a rischio il buon esito della riforma. Bologna questo rischio non lo corre. Esiste una ormai ventennale tradizione di collaborazione tra magistratura, foro e cancelleria, coltivata nell’osservatorio della giustizia civile, rilanciato nel 2009, che ha elaborato «buone pratiche» confluite in decine di protocolli. Così e avvenuto anche per il Pct, con il procedimento di ingiunzione e da ultimo con il protocollo sulle esecuzioni civili telematiche. L’ordine degli avvocati ha fatto molto di più: ha investito anche economicamente sulla formazione dei propri iscritti, dei magistrati e dei cancellieri. L’apertura della busta elettronica e la formazione del fascicolo processuale sono state apprese presto e bene grazie a questa iniziativa. L’investimento ha un evidente ritorno economico, innanzitutto per gli avvocati non bolognesi che utilizzano il processo telematico dal proprio studio; e poi per i cittadini e le imprese, che beneficeranno della maggiore efficienza della giustizia. A parte le notifiche, le citazioni, le ingiunzioni, per ora la durata del processo resta elevata, anche se in leggera diminuzione: nei tribunali della regione si è passati da 1.500 a 1.358 giorni nel 2014, più di tre anni e mezzo (due anni in materia di lavoro). Anche l’appello dura un po’ meno, ma richiede 4 anni e 4 mesi. Si aggiunga la Cassazione, e il decennio è a portata di mano. Il tribunale delle imprese — da un paio d’anni, uno per distretto — ha l’ambizione di rilanciare gli investimenti dall’estero, per la maggior fiducia nella rapidità e nella prevedibilità della giustizia italiana. Ma ha competenze circoscritte e le sezioni specializzate hanno carichi limitati e velocità non ancora elevata: a Bologna, 146 procedimenti iscritti nel primo anno, 527 nel secondo. Il futuro appare meno buio, ma bisogna aggredire l’arretrato, soprattutto in appello. Il 40% risale al primo decennio del secolo, in particolare dal 2007 in poi. A Bologna ben 700 processi sono nati prima del 2001, e nell’intera regione i più antichi sono quasi 2mila. La giustizia entrerà davvero nel nuovo secolo quando avrà chiuso i conti con il precedente.

 

 

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